Giovanni
Falcone era un magistrato e un giudice impegnato seriamente nel combattere la
mafia. Credeva nel suo impegno e voleva che la Sicilia divenisse un paese
finalmente libero e non più legato dall’omertà e dai traffici di denaro
illecito.
Con
l’aiuto di altri importanti magistrati fra cui Paolo Borsellino, scoprì i
legami di “cosa nostra” con la politica e mise in piedi un maxi-processo grazie
alle rivelazioni del pentito Buscetta che fece nomi importanti, soggetti della
politica collegati alla mafia.
Nell’89
subì un attentato fallito e poi venne tradito proprio da alcuni magistrati che
accusarono lui e Borsellino con lettere anonime, di brama di potere per la sua
candidatura a coordinatore per il nuovo progetto di una Superprocura antimafia.
Progetto
interrotto subito dalla sua morte.
La
strage di Capaci è l’attentato in cui morirono sull’autostrada A29, il 23
maggio 1992, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della
scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Mortinaro.
400
kg di tritolo piazzati in un tunnel sotto la carreggiata distrussero la corsia
in cui viaggiava il corteo causando la strage. Falcone con la moglie, stava
tornando a casa da Roma come d’abitudine ogni fine settimana.
Mentre
era alla guida Falcone rallentò per prendere delle chiavi nel cruscotto, quindi
la sua auto e quella che lo seguiva, non furono investite pienamente dello
scoppio che invece travolse la prima vettura con la scorta.
Gli agenti morirono sul colpo quando Giovanni
Brusca azionò la carica. Falcone con la sua auto, si schiantò contro il muro di
cemento e detriti causati
dallo scoppio, e morì successivamente durante il trasporto in ospedale, a causa
di un forte trauma cranico causato dall’impatto con il parabrezza e dopo aver
subito varie lesioni interne.
La
moglie Francesca morì in ospedale la sera stessa alle 22:00.
Gli
agenti della terza macchina e quello dentro alla vettura di Falcone rimasero
miracolosamente illesi.
Viene,
nell’animo una profonda tristezza quando si è costretti a ricordare e a parlare
di uomini come lui che hanno dato la vita sapendo bene di rischiarla tutti i
giorni, in nome di una giustizia che forse è ancora molto lontana da ciò che
desiderava, nonostante siano trascorsi ormai 23 anni.
Possiamo
forse chiamarlo “un eroe del quotidiano”, un uomo che ha combattuto la mafia
finché ha potuto, nonostante tutti gli ostacoli e gli attacchi.
Nessun commento:
Posta un commento