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domenica 24 maggio 2015

Falcone, ieri l’anniversario della strage.



Giovanni Falcone era un magistrato e un giudice impegnato seriamente nel combattere la mafia. Credeva nel suo impegno e voleva che la Sicilia divenisse un paese finalmente libero e non più legato dall’omertà e dai traffici di denaro illecito.
Con l’aiuto di altri importanti magistrati fra cui Paolo Borsellino, scoprì i legami di “cosa nostra” con la politica e mise in piedi un maxi-processo grazie alle rivelazioni del pentito Buscetta che fece nomi importanti, soggetti della politica collegati alla mafia.



Nell’89 subì un attentato fallito e poi venne tradito proprio da alcuni magistrati che accusarono lui e Borsellino con lettere anonime, di brama di potere per la sua candidatura a coordinatore per il nuovo progetto di una Superprocura antimafia.
Progetto interrotto subito dalla sua morte.

La strage di Capaci è l’attentato in cui morirono sull’autostrada A29, il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Mortinaro.
400 kg di tritolo piazzati in un tunnel sotto la carreggiata distrussero la corsia in cui viaggiava il corteo causando la strage. Falcone con la moglie, stava tornando a casa da Roma come d’abitudine ogni fine settimana.




Mentre era alla guida Falcone rallentò per prendere delle chiavi nel cruscotto, quindi la sua auto e quella che lo seguiva, non furono investite pienamente dello scoppio che invece travolse la prima vettura con la scorta.
Gli agenti morirono sul colpo quando Giovanni Brusca azionò la carica. Falcone con la sua auto, si schiantò contro il muro di cemento e detriti causati dallo scoppio, e morì successivamente durante il trasporto in ospedale, a causa di un forte trauma cranico causato dall’impatto con il parabrezza e dopo aver subito varie lesioni interne.
La moglie Francesca morì in ospedale la sera stessa alle 22:00.
Gli agenti della terza macchina e quello dentro alla vettura di Falcone rimasero miracolosamente illesi.




Viene, nell’animo una profonda tristezza quando si è costretti a ricordare e a parlare di uomini come lui che hanno dato la vita sapendo bene di rischiarla tutti i giorni, in nome di una giustizia che forse è ancora molto lontana da ciò che desiderava, nonostante siano trascorsi ormai 23 anni.
Possiamo forse chiamarlo “un eroe del quotidiano”, un uomo che ha combattuto la mafia finché ha potuto, nonostante tutti gli ostacoli e gli attacchi.


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