sito internet

sabato 24 novembre 2018

All'angolo della strada principale..."Racconto. Capitolo 16"




Capitolo 16.

Il ciclo scolastico della scuola primaria terminò e poi velocemente anche quello della media si stemperò dentro la mia vita.

Tre anni senza successi eclatanti ma senza dovermi preoccupare per l’andamento dei miei studi, nelle singole discipline. Non che i miei voti fossero alti ma mi permettevano di andare avanti e molte volte mi davano anche delle soddisfazioni che prima non avevo mai avuto.
Alla fine, nel momento della scelta per la scuola superiore non ebbi alcun dubbio, il mio percorso doveva permettermi di appropriarmi della capacità di insegnare, di stare in modo amorevole con i bambini e di farli divertire oltre che farli crescere imparando. Questo desideravo con tutta me stessa e la scelta ricadde inevitabilmente sull’Istituto Magistrale.
La scuola media frequentata era situata al piano basso dello stesso edificio della scuola superiore. Due portoni abbastanza vicini dividevano gli ingressi: a sinistra quello della scuola media, a destra l’ingresso del Magistrale con qualche gradino e la porta a vetri che dava l’accesso al corridoio e alle aule.
L’edificio è ancora uguale, abbastanza grande, con i corridoi che danno sulla strada mentre le aule sono rivolte all’interno. Aule che contenevano ognuna tantissimi studenti con una prevalenza numerica femminile piuttosto marcata. Quando oggi con la mia auto passo davanti all’ingresso non posso fare a meno di dare un’occhiata agli studenti che sciamano fuori ridendo e urlando ed inevitabilmente sento un po’ di nostalgia per un periodo della mia vita ormai lontano ma che ha lasciato un forte segno.
Quindi, ancor prima di iniziare questo nuovo percorso, per raggiungere la scuola media per quei tre anni ero passata a piedi lungo il viale nel quale abitavo per poi giungere a destinazione con l’attraversamento della ferrovia che avveniva grazie ad un cavalcavia a ferro di cavallo.
Usava all’epoca portare i libri scolastici e i quaderni legati con una specie di cintura e tenuti in braccio. Pesavano tutti quei volumi e la mia schiena, fragile, s’incurvò, procurandomi una scoliosi non grave ma fastidiosa.
Radiografie, esercizi posturali appositi per contrastare la “esse” della mia colonna vertebrale, e tanto tempo speso su un “vogatore” in legno che i miei acquistarono perché potessi anche a casa, giornalmente, far muovere tutte le fasce muscolari dorsali e non solo, al fine di sostenere al meglio il mio torace. Per una ragazzina di dodici - tredici anni che comincia a sognare di far colpo sui compagni questo problema non era la migliore delle situazioni da affrontare ma in realtà non mi pesò mai tanto e quindi, quando fu il momento, entrai nella scuola superiore con un certo entusiasmo.
Le lezioni iniziavano ancora ad ottobre e ci fu subito chi fece colpo sui miei sensi pronti ormai a recepire le prime emozioni e gli sconvolgimenti ormonali del momento. Alto, piuttosto biondo, un nome un po’ improponibile ma divertente, Leopoldo, fu lui il mio primo amore, ben nascosto e protetto. Entravo in classe e lo sguardo cercava il suo viso per essere sicura che anche quel giorno lui ci fosse, solo per me. Non gli ero indifferente lo sapevo, ma eravamo molto timidi entrambi e solo una volta la sua mano sfiorò volutamente la mia mentre eravamo vicini. Io guardavo dritto, non osavo girare gli occhi per paura che tutto finisse. Lui lo stesso. Mi tenne la mano nella sua ed io sentivo il cuore in gola. Poi ci chiamarono e ci allontanammo tornando ognuno nel proprio gruppetto.
Fantasticavo che quell’anno sarebbe iniziata una nuova vita, avrei forse potuto uscire qualche volta, mangiare un gelato o fare due passi mano nella mano con lui. Finì ottobre e il 4 novembre l’alluvione si portò via tutti i miei sogni.



martedì 13 novembre 2018

3 ricette con i cachi, ottimi frutti di stagione.




Proprietà del frutto.
I cachi possiedono diverse proprietà salutari per il nostro corpo, sono ricchi di sali minerali tra cui il potassio e hanno un forte effetto diuretico.
Hanno inoltre un alto contenuto di beta carotene e di vitamina C e i pigmenti presenti come il licopene sono potenti antiossidanti utili per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
I cachi sono però ricchi di zuccheri: 100 g di prodotto apportano infatti 70 kcal. Di questo occorre tenerne conto se si hanno problemi di linea o di glicemia alta.


Le tre ricette che presento vedono l’uso di questo frutto per creare un primo piatto col riso, un secondo di maiale e un semplicissimo dolce semifreddo.


Risotto al cachi con mandorle.

Ingredienti:
1 scalogno
burro
Riso Carnaroli (1 pugno a persona +1)
Brodo di carne q.b.
2 cachi
60g. di taleggio
mandorle q.b.

Preparazione:
Per prima cosa prendete uno scalogno, pulitelo e affettatelo. Fatelo imbiondire in una noce di burro e poi aggiungete il riso Carnaroli. Fatelo tostare per qualche minuto, senza mescolare. Unite a questo punto il brodo di carne che avrete già preparato e fate cuocere a fuoco dolce per 15-18 minuti.
Poco prima della fine della cottura, unite la polpa frullata di due cachi e mescolate bene. Una volta che il riso sarà pronto, togliete la pentola dal fuoco, mantecate col taleggio tagliato a fettine e lasciate riposare il riso per due minuti. Spolverate con le mandorle tritate e servite subito.

Maiale in salsa di cachi.

Ingredienti per 4 persone:
- 800 g di filetto di maiale
- 2 cachi
- Sale e pepe q.b.
- peperoncino
- olio d'oliva
- un rametto di finocchietto

Preparazione:
Fate insaporire il maiale con sale e pepe, prima di spennellarlo con l'olio d'oliva e passarlo nel finocchietto che avrete precedentemente tritato.
Trasferitelo in una padella con olio e fatelo rosolare per qualche minuto. Togliete poi dal fuoco e spostate la carne in una teglia per completare la cottura in forno per 10 minuti a 200°.
Preparate intanto la salsa sbucciando i cachi e frullandone la polpa insieme a peperoncino, olio e sale. Setacciate il composto per eliminare i pezzetti di polpa in eccesso e servite il maiale dopo aver versato qualche cucchiaio di salsina su di esso.


Semifreddo di cachi.

Un dolce che fa molta scena perché bello da portare in tavola e facilissimo da preparare. Basta mescolare la polpa frullata di un cachi con 500 ml di panna fresca montata con 200 g di zucchero e il succo di mezzo limone. Si versa il composto in uno stampo da plumcake rivestito con della pellicola trasparente e si lascia in freezer per qualche ora. Si taglia a fette e si serve con una crema di cachi frullati con la cannella.








venerdì 2 novembre 2018

All'angolo della strada principale... "Racconto. Capitolo 15"




Capitolo 15.


Mentre Silverio era lontano io crescevo in solitudine.
I miei genitori scelsero per me una scuola privata gestita da suore. Mio padre aveva finalmente un regolare stipendio e mia madre non volle assolutamente farmi frequentare l’asilo comunale. Diceva:
“Non mi piace che ti mescoli con tutti quei bambini. Voglio che tu vada in una scuola dove sarai seguita e dove troverai compagni migliori, figli di persone più ricche, e dove ti farai delle amiche sicuramente più in gamba”.
La scelta fu la mia condanna almeno per cinque dei sette anni trascorsi lì.
Se l’intento era di fare amicizie di ceto sociale più alto del nostro, il fallimento fu evidente da subito, ma non inficiò minimamente la recondita fiducia che mia madre aveva nel suo progetto, nonostante che questo prevedesse ulteriori sacrifici economici.
La scuola era abbastanza vicina alla nostra abitazione. Passavamo a piedi una piazza e dopo aver incrociato un paio di strade arrivavamo al grande cancello verde che immetteva nel giardino. Esteticamente la scuola si presentava bene dando un’idea di tranquillità ed ordine.
Oltre il cancello ed il giardino antistante il portone d’ingresso c’era una costruzione bassa, un paio di piani, intonacata di un caldo beige. Persiane marroni, terrazzino sopra l’ingresso. La porta era a vetri colorati e piombati e dentro, l’atrio era ampio ed odorava di pulito. La struttura esterna, più recente, si allungava sulla sinistra con tante finestre che davano su un cortile. Il giardino invece proseguiva sulla destra rispetto al portone ed era ampio e pieno di grandi alberi.
La mamma decantava tutte le lodi dell’ambiente e mi diceva che mi sarei trovata benissimo. Sembrava un merlo o un pappagallo che ripete pedissequamente sempre le stesse parole, (*che imita passivamente qualcuno o qualcosa senza alcun apporto di originalità) al fine di convincere se stessa e me di qualcosa che invece non garantiva proprio niente.
Io, persa in quegli ambienti nuovi dai pavimenti lustri, non mi sentivo tranquilla e tenevo la mano della mamma stretta stretta con la paura che mi abbandonasse.
Arrivò una suora chiamata da quella che ci aveva aperto e si mise a parlare con mamma sulle regole dell’istituto e sulla retta.
La mamma mi presentò:
“Lei si chiama Anna. Verrà molto volentieri. E’ una bambina silenziosa ed obbediente”
“Bene. Qui tutti devono rispettare le regole. Comunque ormai inizierà lunedì. La sua insegnante si chiama suor Rosina. Ha tutti bambini di quattro anni quindi Anna andrà con lei” poi si rivolse a me “Vuoi conoscere la tua maestra?”
Feci sì con la testa, non osavo aprire bocca.
La suora allora mi portò nelle stanze dell’asilo e lì vidi l’unica persona che abbia amato in quella scuola, l’unica che abbia avuto rispetto per me bambina e che mi abbia insegnato a giocare, recitare, cantare stare con gli altri.
Suor Rosina era alta e magra. Si rivolgeva a noi bambini sempre con garbo, non brontolava ma spiegava cosa e come dovevamo fare le attività che ci proponeva. Ogni tanto ci portava a giocare in giardino ed io ero felicissima di poter correre e giocare all’aria aperta, cosa che non facevo mai.
Non saprei dire neppure oggi, ripensando a lei, quanti anni potesse avere o di quale colore fossero i suoi capelli. Per me era solamente “la mia maestra” e non mi importava altro.
Quegli anni fuggirono veloci e pur non avendo ancora fatto amicizia con nessuno in modo particolare la mia esistenza in quell’ambiente trascorse serena ma, una volta entrata in prima elementare, le cose cambiarono radicalmente.
La scuola elementare iniziò ad ottobre, come ogni anno a quell’epoca, e già da subito i rapporti con le maestre/suore misero in evidenza tutte le problematiche che sarebbero diventate sempre più pressanti nel corso degli anni. Non va dimenticato che io venivo da una famiglia di operai e che quindi non potevo godere della considerazione che avevano alcuni compagni, figli di avvocati o architetti. Pur pagando la retta regolarmente come gli altri il gap culturale ed economico era la mia spada di Damocle quotidiana.
“Anna devi scrivere meglio sul quaderno, questa calligrafia è indecente.”
“Fai dei disegni bruttissimi, non sei capace neppure di fare una casa come va fatta.”
“Chi sta cantando così male fra di voi? Anna sei tu come al solito!”
“Ma cosa scrivi nei pensierini? Sempre le solite frasi. Devi raccontare come hai trascorso la domenica. Andrai pure da qualche parte no? Devi parlare, far capire a tutti dove sei stata!”
La mia vita scorreva fra un rimprovero ed un altro. Ma cosa dovevo raccontare della domenica se non mi muovevo mai da casa oppure, perché dirmi che stonavo quando muovevo solo la bocca perché non avevo mai voglia di cantare?
Nella mia testa, come un chiodo fisso, avevo l’idea che non avrei mai accontentato i miei genitori e che non avrei mai concluso qualcosa di buono nella vita. Le giornate iniziavano e finivano tutte esattamente nello stesso modo, con uguali delusioni ed insicurezze. Non avevo amiche se non un paio di bambine e solo perché erano anche loro delle “poverine”. Nessuno mi invitava a casa sua per i compleanni. Ero isolata e tempestata da cattiverie quotidiane che le suore mi dedicavano martorizzandomi con righellate sulle mani, ore trascorse in ginocchioni davanti alla cattedra oppure dietro la lavagna , in alternativa facendomi riempire la facciata della lavagna con numeri uno, tutti in fila, solo perché dovevo comporli con il gambetto corto e non lungo come invece mi piaceva tanto fare e come ancora oggi lo scrivo.
E mia madre in tutto ciò?
Provavo a lamentarmi e lei andava dalla direttrice a dire che non dovevano farmi certe cose ma, ogni volta, scontavo la lamentela e la situazione peggiorava, così decisi di non aprire più bocca finché arrivò finalmente la fine dell’ultimo anno e la liberazione dall’incubo.
Solo chi prova il peso dei soprusi fisici e psicologici sa quanto possano essere devastanti. La mia ricetta per non morirne? Estraniarmi, fare la finta tonta, ingoiare e zitta. Non vedevo alternative.