Devo confessare che ho aspettato un bel po’ di tempo prima
di acquistare l’ultimo libro di Camilleri.
Questa scelta era dettata dalla delusione avuta nella lettura degli
ultimi due libri di Montalbano. Storie che avevo trovato prive di interesse, un
po’ sconclusionate, soprattutto mancanti di trama e forza nella descrizione del
commissario.
Avevo pensato che l’autore ormai ci avesse regalato tutto
ciò che poteva e che con l’avanzare dell’età non potesse più trovare
quell’appeal necessario affinché le storie si dimostrassero interessanti.
Però ogni volta che mi capitava di vedere il libro mi
sembrava di fargli un torto, sì a lui libro e al suo autore e così alla fine ho
deciso di comprarlo.
Devo confessare che l’ho letto in tutti i ritagli di tempo
possibili perché con mia sorpresa questa volta ho ritrovato un testo godibile
che mi è piaciuto fin da subito.
S’intrecciano due filoni separati ma che s’intersecano
benissimo nella storia perché legati dalla realtà che viviamo quotidianamente
l’uno, e dall’odio l’altro.
Una parte iniziale ci fa partecipare ai problemi degli
sbarchi sulle nostre coste da parte dei migranti. Camilleri schierato
umanamente e politicamente per la comprensione verso queste persone, per bocca
di Montalbano commenta più volte quanto sia assurdo criticare senza entrare a
far parte delle loro vite, quanto invece siano disprezzabili gli scafisti,
quanto dolore ci sia nelle vite delle donne e degli uomini che perdono familiari
nei viaggi per mare. Ci parla inoltre del disagio delle forze dell’ordine e
anche dei luoghi comuni che incasellano le persone come “non persone” solo
perché migranti.
Vi riporto qui un paio di frasi che Montalbano e Catarella
si scambiano a proposito di uno sbarco per chiarire il taglio e la lettura che
viene data da Camilleri a tutta questa situazione:
“Capitò che stanotti
quanno che ci fu la sbarcata di ‘sti sfollati…”
Montalbano
l’interrompì:
“Non si chiamano
sfollati, Catarè, ma migranti. Gli sfollati erano chiddri che nell’ultima
guerra scappavano in un autro paìsi a scascione dei continui bummardamenti”.
“Scusassi dottori, ma
chisti non scappano dalle bumme allo stisso modo?”
Montalbano non seppi
come replicari. La logica di Catarella era pirfetta:
Ecco quindi che mentre tutto il commissariato è coinvolto in
questa corsa per la salvezza delle persone che arrivano ogni notte,
improvvisamente parte e prende forma l’altro filone, quello più giallo con un
delitto che sembra inspiegabile e che coinvolge anche il commissario pur
indirettamente. Non va dimenticato che Camilleri con il passar del tempo ha
fatto invecchiare Montalbano rendendolo alcune volte più lento nel capire o nel
vedere particolari che poi si dimostrano importanti e così ha bisogno di tornare
più volte sulla scena del delitto per ricordare immagini, scene, che possano
servire a chiarire il perché e come sono successi i fatti. L’intuizione, il
caso, la perseveranza nell’indagine porteranno a scrivere la parola fine
lasciando molta amarezza in chi legge perché emergono sentimenti davvero forti
che hanno perseverato a lungo nell’assassino e che solo alla fine fanno
emergere quella lucidità necessaria per poter spiegare le ragioni del delitto.
Quello che rimane a Montalbano è la soddisfazione di aver
capito e quindi lui dice di sé stesso che il cervello ancora funzionava bene, “era la vilocità che fagliava”.
Questo libro è il numero 100, cioè il centesimo libro
scritto da questo autore veramente incredibile che all’età di novant’anni e
ormai quasi completamente cieco continua il suo lavoro e che sa ancora
regalarci storie che ci appassionano e che si fanno amare
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