Capitolo 5.
Il nonno aveva sempre con sé un coltellino che si
piegava in due. Non aveva una lama lunghissima mentre l’impugnatura era di
madreperla che luccicava al sole. Era molto efficace per le piccole operazioni
quotidiane, ad esempio tagliare pezzetti di pane dalle fette della merenda
oppure staccare dalle rocce le telline da mangiare subito, crude e sciacquate
direttamente in mare.
Tutti i giorni le raccoglievamo, come fossero more in
un rovo, staccandole a forza dagli scogli, poi le mettevamo nel secchio pieno
d’acqua quindi cercavamo i granchi che si fermavano al sole nelle piccole pozze
d’acqua create dalle fenditure dei massi.
Mi sentivo un po’ come un pescatore ormai ferrato nel
suo mestiere, che sa come e dove muoversi per catturare prede.
Il nonno m’insegnava come prendere i granchietti, ed
io cercavo di evitare che le chele mi pizzicassero le dita, ma non era
un’impresa semplice; poi ce li mangiavamo!
Erano piccoli e graziosi da vedere ma altrettanto
gustosi da succhiare e non mi sentivo in colpa perché al mare, m’insegnava il
nonno, mangiare tutto ciò che si pesca, non è una cosa sbagliata. Lui me li
preparava e io infilavo in bocca la polpa sia delle telline che dei granchi.
Qualche volta riuscivamo a prendere anche dei ricci.
Erano sicuramente i miei preferiti, ma quelli li portavamo a casa dentro al secchiello
con l’acqua e li gustavamo con del pane fresco e del limone spremuto sopra.
Ho ancora ben chiaro nella mente e in bocca il
piacere di mangiare questi “frutti” del mare con la semplicità del farlo lì per
lì o comunque con pochissimi condimenti, cosa che ormai è diventata difficile e
soprattutto meno sicura di una volta a causa dell’inquinamento e della
spasmodica ricerca di cibi sempre più artefatti.
Il nonno prima di diventare operaio aveva solcato
molti mari sulle navi. Non amava però raccontare la sua vita di navigazioni e
semmai preferiva inventarsi qualche avventura che io capivo benissimo essere il
frutto della sua fantasia. Non gli ho mai chiesto il motivo di questa reticenza
e per me è rimasto sempre un mistero, anche se credo fosse perché la vita da
semplice marinaio non era stata poi così entusiasmante.
Con questa caccia terminava la mattinata ed era l’ora
di rientrare a casa.
Il ritorno era più faticoso dell’andata: ero stanca,
il sole batteva forte e dovevamo percorrere in salita l’uscita dalla spiaggia.
Mi trascinavo un po’ e spesso mi lamentavo dicendo che non ce l’avrei mai fatta
a tornare su, ma il nonno mi spronava e presto mi trovavo di nuovo di fronte ai
binari da attraversare.
L’ombra della casa mi accoglieva ristoratrice. La
nonna ci faceva trovare il pranzo pronto, un piatto di pasta e della verdura,
la frutta a volte la mangiavo a merenda se ero in casa.
Durante le ore calde del pomeriggio era d’obbligo
riposarsi.
Mi ritrovavo a letto, senza voglia di dormire e senza
qualcuno che mi facesse compagnia. Io sono figlia unica e come in tutte le cose
ci sono i pro e i contro. Fra le cose negative spiccava la nota dolente della solitudine.
Quest’aspetto della mia vita ha segnato nel tempo periodi e giornate ricorrenti,
fintanto che non ho conosciuto quello che poi sarebbe diventato mio marito e
che di fratelli ne aveva ben tre. La famiglia si è improvvisamente allargata e
anche la solitudine ha fatto sempre meno parte di me.
In quelle giornate estive che hanno occupato tanta
parte del mio vissuto però, l’ora del riposo l’ho sempre considerata uno spreco
incredibile.
Io non ero affatto stanca e soprattutto non volevo
stare a letto, ma la nonna era una donna che se pur abbastanza allegra,
comandava su tutto e su tutti. Lei dettava le regole e gli altri dovevano
assoggettarsi, quindi il riposo andava fatto.
La nonna era la mamma della mia mamma.
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