Capitolo 8.
L’alternativa al gioco con Arturo era uscire ed
andare in paese a camminare. Aspettavamo però che facesse meno caldo e uscivamo
tutti e tre con l’obiettivo di andare a mangiare una pizza per cena. La nonna
mi faceva indossare il “vestito buono” ed uscivamo.
Odiavo quel vestito.
Ne avevo altri, ma erano più o meno tutti uguali. Me
li cuciva la mamma che faceva la sarta e che aveva deciso per me lo stile che
mi stava bene. Ero magrolina e quindi il vestito doveva essere con tante pieghe
all’altezza della vita. Io guardavo con invidia le mie coetanee che uscivano
con delle sottanine più strette e con magliette colorate e ogni volta avrei
voluto strappare quell’abito e far capire alla mamma che proprio non mi
piaceva. Ma non c’era niente da fare, i miei abiti erano tutti così.
Nelle nostre uscite facevamo il giro del paese.
Alcune volte passavamo dal viale alberato del lungomare e io mi affacciavo
sempre ai terrazzini sospesi che permettevano di vedere le spiagge sottostanti.
Oppure, passando dal centro, arrivavamo alla grande piazza a picco sul mare da
cui si vedevano vicinissime le isole che si trovavano di fronte.
Lì trovavamo sempre alcuni amici del nonno che
pescavano con lunghissime lenze oppure giovanotti che facevano a gara a chi si
buttava in mare dalla roccia più alta.
“Non ce la farai mai. Io sono il più bravo” diceva
qualcuno e un altro rispondeva “Ma cosa dici
guarda…” e giù a capofitto nelle onde.
Intorno al crocchio dei giovanotti che, come galletti,
dimostravano tutta la loro bellezza e bravura, c’erano sempre gruppetti di
ragazze tutte sorrisini e moine. Le guardavo incuriosita cercando di capire il senso
di tutti quei versi ma sapendo, nel profondo, che anche loro erano lì per
mostrarsi.
Le mie curiosità su questi comportamenti non venivano
soddisfatte se non dalla mia immaginazione, non era infatti semplice chiedere ai
nonni la spiegazione dei perché che cominciavano ad affacciarsi nella mia
testa. Ero ancora piccola e di queste cose non potevo parlare.
Tornando verso la piazza vicina alla stazione, ci
fermavamo a mangiare la pizza. Il nonno ordinava sempre la solita. Sapeva bene
cosa piaceva a me e alla nonna ed era facile per lui portarci un grande piatto
fumante con la pasta alta, tagliata a quadrotti da una sorta di griglia già predisposta,
della misura delle pizze. Per me la cosa più divertente era poter prendere
direttamente i pezzetti con le mani, senza fatica e morderli con gusto.
Mi pareva la fine la del mondo!
Il pizzaiolo veniva spesso a salutarci.
“Anche stasera la tua nipotina è bella come il sole.
La mia ormai è grande e la vedo poco. Mi manca. Tu goditela finché puoi mi
raccomando” e si allontanava.
Io mi sentivo una reginetta dopo queste parole.
M’immaginavo bella e quella pizza acquistava all’improvviso un sapore diverso.
Ci fu un’altra occasione nella quale la pizza, una
pizza speciale, assunse una importanza particolare ed è un ricordo ancora
vivido nella mia mente.
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