Capitolo 16.
Il ciclo scolastico della scuola primaria terminò e poi velocemente anche quello della media si stemperò dentro la mia vita.
Tre anni senza successi eclatanti ma senza dovermi
preoccupare per l’andamento dei miei studi, nelle singole discipline. Non che i
miei voti fossero alti ma mi permettevano di andare avanti e molte volte mi
davano anche delle soddisfazioni che prima non avevo mai avuto.
Alla fine, nel momento della scelta per la scuola
superiore non ebbi alcun dubbio, il mio percorso doveva permettermi di
appropriarmi della capacità di insegnare, di stare in modo amorevole con i
bambini e di farli divertire oltre che farli crescere imparando. Questo
desideravo con tutta me stessa e la scelta ricadde inevitabilmente
sull’Istituto Magistrale.
La scuola media frequentata era situata al piano
basso dello stesso edificio della scuola superiore. Due portoni abbastanza
vicini dividevano gli ingressi: a sinistra quello della scuola media, a destra
l’ingresso del Magistrale con qualche gradino e la porta a vetri che dava
l’accesso al corridoio e alle aule.
L’edificio è ancora uguale, abbastanza grande, con i
corridoi che danno sulla strada mentre le aule sono rivolte all’interno. Aule
che contenevano ognuna tantissimi studenti con una prevalenza numerica
femminile piuttosto marcata. Quando oggi con la mia auto passo davanti
all’ingresso non posso fare a meno di dare un’occhiata agli studenti che
sciamano fuori ridendo e urlando ed inevitabilmente sento un po’ di nostalgia
per un periodo della mia vita ormai lontano ma che ha lasciato un forte segno.
Quindi, ancor prima di iniziare questo nuovo
percorso, per raggiungere la scuola media per quei tre anni ero passata a piedi
lungo il viale nel quale abitavo per poi giungere a destinazione con
l’attraversamento della ferrovia che avveniva grazie ad un cavalcavia a ferro
di cavallo.
Usava all’epoca portare i libri scolastici e i
quaderni legati con una specie di cintura e tenuti in braccio. Pesavano tutti
quei volumi e la mia schiena, fragile, s’incurvò, procurandomi una scoliosi non
grave ma fastidiosa.
Radiografie, esercizi posturali appositi per
contrastare la “esse” della mia colonna vertebrale, e tanto tempo speso su un
“vogatore” in legno che i miei acquistarono perché potessi anche a casa,
giornalmente, far muovere tutte le fasce muscolari dorsali e non solo, al fine
di sostenere al meglio il mio torace. Per una ragazzina di dodici - tredici
anni che comincia a sognare di far colpo sui compagni questo problema non era
la migliore delle situazioni da affrontare ma in realtà non mi pesò mai tanto e
quindi, quando fu il momento, entrai nella scuola superiore con un certo
entusiasmo.
Le lezioni iniziavano ancora ad ottobre e ci fu
subito chi fece colpo sui miei sensi pronti ormai a recepire le prime emozioni
e gli sconvolgimenti ormonali del momento. Alto, piuttosto biondo, un nome un
po’ improponibile ma divertente, Leopoldo, fu lui il mio primo amore, ben
nascosto e protetto. Entravo in classe e lo sguardo cercava il suo viso per
essere sicura che anche quel giorno lui ci fosse, solo per me. Non gli ero
indifferente lo sapevo, ma eravamo molto timidi entrambi e solo una volta la
sua mano sfiorò volutamente la mia mentre eravamo vicini. Io guardavo dritto,
non osavo girare gli occhi per paura che tutto finisse. Lui lo stesso. Mi tenne
la mano nella sua ed io sentivo il cuore in gola. Poi ci chiamarono e ci
allontanammo tornando ognuno nel proprio gruppetto.
Fantasticavo che quell’anno sarebbe iniziata una
nuova vita, avrei forse potuto uscire qualche volta, mangiare un gelato o fare
due passi mano nella mano con lui. Finì ottobre e il 4 novembre l’alluvione si
portò via tutti i miei sogni.
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