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venerdì 2 novembre 2018

All'angolo della strada principale... "Racconto. Capitolo 15"




Capitolo 15.


Mentre Silverio era lontano io crescevo in solitudine.
I miei genitori scelsero per me una scuola privata gestita da suore. Mio padre aveva finalmente un regolare stipendio e mia madre non volle assolutamente farmi frequentare l’asilo comunale. Diceva:
“Non mi piace che ti mescoli con tutti quei bambini. Voglio che tu vada in una scuola dove sarai seguita e dove troverai compagni migliori, figli di persone più ricche, e dove ti farai delle amiche sicuramente più in gamba”.
La scelta fu la mia condanna almeno per cinque dei sette anni trascorsi lì.
Se l’intento era di fare amicizie di ceto sociale più alto del nostro, il fallimento fu evidente da subito, ma non inficiò minimamente la recondita fiducia che mia madre aveva nel suo progetto, nonostante che questo prevedesse ulteriori sacrifici economici.
La scuola era abbastanza vicina alla nostra abitazione. Passavamo a piedi una piazza e dopo aver incrociato un paio di strade arrivavamo al grande cancello verde che immetteva nel giardino. Esteticamente la scuola si presentava bene dando un’idea di tranquillità ed ordine.
Oltre il cancello ed il giardino antistante il portone d’ingresso c’era una costruzione bassa, un paio di piani, intonacata di un caldo beige. Persiane marroni, terrazzino sopra l’ingresso. La porta era a vetri colorati e piombati e dentro, l’atrio era ampio ed odorava di pulito. La struttura esterna, più recente, si allungava sulla sinistra con tante finestre che davano su un cortile. Il giardino invece proseguiva sulla destra rispetto al portone ed era ampio e pieno di grandi alberi.
La mamma decantava tutte le lodi dell’ambiente e mi diceva che mi sarei trovata benissimo. Sembrava un merlo o un pappagallo che ripete pedissequamente sempre le stesse parole, (*che imita passivamente qualcuno o qualcosa senza alcun apporto di originalità) al fine di convincere se stessa e me di qualcosa che invece non garantiva proprio niente.
Io, persa in quegli ambienti nuovi dai pavimenti lustri, non mi sentivo tranquilla e tenevo la mano della mamma stretta stretta con la paura che mi abbandonasse.
Arrivò una suora chiamata da quella che ci aveva aperto e si mise a parlare con mamma sulle regole dell’istituto e sulla retta.
La mamma mi presentò:
“Lei si chiama Anna. Verrà molto volentieri. E’ una bambina silenziosa ed obbediente”
“Bene. Qui tutti devono rispettare le regole. Comunque ormai inizierà lunedì. La sua insegnante si chiama suor Rosina. Ha tutti bambini di quattro anni quindi Anna andrà con lei” poi si rivolse a me “Vuoi conoscere la tua maestra?”
Feci sì con la testa, non osavo aprire bocca.
La suora allora mi portò nelle stanze dell’asilo e lì vidi l’unica persona che abbia amato in quella scuola, l’unica che abbia avuto rispetto per me bambina e che mi abbia insegnato a giocare, recitare, cantare stare con gli altri.
Suor Rosina era alta e magra. Si rivolgeva a noi bambini sempre con garbo, non brontolava ma spiegava cosa e come dovevamo fare le attività che ci proponeva. Ogni tanto ci portava a giocare in giardino ed io ero felicissima di poter correre e giocare all’aria aperta, cosa che non facevo mai.
Non saprei dire neppure oggi, ripensando a lei, quanti anni potesse avere o di quale colore fossero i suoi capelli. Per me era solamente “la mia maestra” e non mi importava altro.
Quegli anni fuggirono veloci e pur non avendo ancora fatto amicizia con nessuno in modo particolare la mia esistenza in quell’ambiente trascorse serena ma, una volta entrata in prima elementare, le cose cambiarono radicalmente.
La scuola elementare iniziò ad ottobre, come ogni anno a quell’epoca, e già da subito i rapporti con le maestre/suore misero in evidenza tutte le problematiche che sarebbero diventate sempre più pressanti nel corso degli anni. Non va dimenticato che io venivo da una famiglia di operai e che quindi non potevo godere della considerazione che avevano alcuni compagni, figli di avvocati o architetti. Pur pagando la retta regolarmente come gli altri il gap culturale ed economico era la mia spada di Damocle quotidiana.
“Anna devi scrivere meglio sul quaderno, questa calligrafia è indecente.”
“Fai dei disegni bruttissimi, non sei capace neppure di fare una casa come va fatta.”
“Chi sta cantando così male fra di voi? Anna sei tu come al solito!”
“Ma cosa scrivi nei pensierini? Sempre le solite frasi. Devi raccontare come hai trascorso la domenica. Andrai pure da qualche parte no? Devi parlare, far capire a tutti dove sei stata!”
La mia vita scorreva fra un rimprovero ed un altro. Ma cosa dovevo raccontare della domenica se non mi muovevo mai da casa oppure, perché dirmi che stonavo quando muovevo solo la bocca perché non avevo mai voglia di cantare?
Nella mia testa, come un chiodo fisso, avevo l’idea che non avrei mai accontentato i miei genitori e che non avrei mai concluso qualcosa di buono nella vita. Le giornate iniziavano e finivano tutte esattamente nello stesso modo, con uguali delusioni ed insicurezze. Non avevo amiche se non un paio di bambine e solo perché erano anche loro delle “poverine”. Nessuno mi invitava a casa sua per i compleanni. Ero isolata e tempestata da cattiverie quotidiane che le suore mi dedicavano martorizzandomi con righellate sulle mani, ore trascorse in ginocchioni davanti alla cattedra oppure dietro la lavagna , in alternativa facendomi riempire la facciata della lavagna con numeri uno, tutti in fila, solo perché dovevo comporli con il gambetto corto e non lungo come invece mi piaceva tanto fare e come ancora oggi lo scrivo.
E mia madre in tutto ciò?
Provavo a lamentarmi e lei andava dalla direttrice a dire che non dovevano farmi certe cose ma, ogni volta, scontavo la lamentela e la situazione peggiorava, così decisi di non aprire più bocca finché arrivò finalmente la fine dell’ultimo anno e la liberazione dall’incubo.
Solo chi prova il peso dei soprusi fisici e psicologici sa quanto possano essere devastanti. La mia ricetta per non morirne? Estraniarmi, fare la finta tonta, ingoiare e zitta. Non vedevo alternative. 


2 commenti:

  1. Questo è un capitolo dolente, sebbene bello nella scrittura e nella descrizione. Complimenti. Serena giornata.
    sinforosa

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    1. Ciao Sinforosa. Come avrai capito in questa storia c'è qualcosa di autobiografico e poi c'è la mia amica che essendo cresciuta molto vicino a me mi ha ispirato a raccontare le sue esperienze tristi delle quali io ho vissuto i suoi malesseri e i suoi modi di sopravvivere. Abbiamo fatto le scuole insieme e a volte abbiamo subito entrambe le cattiverie da parte delle suore. Io ho sempre reagito pagando a mia volta, lei ha chinato la testa. Nel mio racconto c'è un po' dell'una e un po' dell'altra in un mix anche delle famiglie. I tormenti non sempre sono facili da raccontare ma spero di riuscire a rendere credibile tutta la storia. Grazie comunque dei tuoi giudizi, mi fanno piacere e mi aiutano. A presto allora.

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