Capitolo 17.
Un capitolo dolente della mia vita ha sempre
riguardato il rapporto con mia madre.
Un rapporto difficile, sfibrante.
I miei ricordi, di quando ero ancora piccola, sono
piuttosto chiari e negativi.
So di averla sempre invidiata e i motivi erano
evidenti a me bambina e poi ragazza.
Lei era bella, bionda, fisico provocante anni ’50.
Gli uomini si giravano a guardarla quando incedeva per strada. Tacchi sempre
alti, gonne al ginocchio, rossetto e smalto, capelli freschi di parrucchiere,
belle gambe.
Non c’era nulla da dire sulla sua bellezza e mio
padre, anch’esso un bell’uomo, era geloso e le sbavava dietro. Forse ho
sofferto del complesso di Elettra ma certo non lo sapevo all’epoca, quello che
sentivo però era una gran rabbia e inadeguatezza nei suoi confronti.
Lei era ben cosciente della sua bellezza e del potere
che le dava.
Spesso le dicevano che somigliava ad Antonella Lualdi
e lei si scherniva, facendo un po’ la preziosa davanti agli altri.
Aveva buon
gusto nel vestire e facendo la sarta sceglieva i modelli che più le si
addicevano, indossandoli poi con una leggerezza ed eleganza che non tutti
hanno. Poteva portare qualsiasi cosa perché, indosso a lei, acquistava valore.
Personaggio faticoso da contrastare soprattutto
quando tu sei nera di capelli e te li fanno portare corti, hai le gambe “come
tuo padre” (mi diceva continuamente), porti quei vestiti che odi a morte, ti
senti una inetta e tua madre rinforza il concetto ogni volta che può.
Quando ero ancora piccola e frequentavo la scuola
elementare, capitava che mi facesse uscire con lei, magari per andare a
consegnare abiti e cappotti che aveva cucito per le sue clienti. Molto spesso
dovevamo passare per un viale abbastanza largo e trafficato dalle auto. Circa a
metà di questa strada, su un alto muro che faceva da delimitazione ad una
costruzione di più piani, era stato appeso un enorme cartellone pubblicitario.
Tutti coloro che transitavano di lì inevitabilmente lo vedevano e anche io
posavo sempre i miei occhi di bambina lì sopra. Si pubblicizzava un detersivo.
Le due figure che si contendevano il lenzuolo più pulito avevano le nostre
caratteristiche: c’era la signora bionda, bella, sorridente e vincente col suo
panno bianchissimo in mano e c’era la mora, più dimessa e meno appariscente che
esibiva con tristezza il suo lenzuolo piuttosto grigio. Ho odiato con tutta me
stessa quella pubblicità perché sembrava avvalorare la mia idea: la mamma era
bella mentre io perdevo sempre e comunque il confronto.
In questa situazione ciò che ha pesato sempre di più,
col passare del tempo, è stata la sua incapacità di parlarmi. Non ho mai avuto
modo di discutere con lei dei miei sentimenti o delle mie emozioni di giovane
donna, né tantomeno è stato facile capire i suoi reali pensieri su di me e sul
babbo.
Quelli erano anni nei quali la separazione o
addirittura il divorzio in una coppia sposata era meno frequente, ma il dubbio
che ho avuto più volte è stato su quale tipo di amore lei nutrisse per mio padre.
Il babbo era sicuramente perso dietro a lei e ogni
scelta della sua vita era condizionata da ciò che mamma pensava e voleva: fosse
l’allontanamento da suo fratello e dalla sorella o l’isolamento dalle amicizie,
fino alle scelte di vita che mi coinvolgevano. Ritengo che nel profondo del suo
cuore il babbo si sia reso conto di vivere in una gabbia che lo escludeva da
tutto e tutti ma che non abbia mai saputo o voluto contrastare ciò che
accadeva. L’abbandono non lo avrebbe mai accettato e quindi ritengo che abbia
trovato un suo modo di sopravvivere, una falsa felicità che gli riempiva le
giornate.
Lui era una persona piena di interessi e
piacevolmente ciarliero con tutti. Le sue uscite erano sempre colme di incontri,
saluti, sorrisi e molte conoscenze sarebbero potute diventare qualcosa di più
del semplice saluto per strada se solo mamma avesse aperto la sua casa a
persone che abitavano vicine. La solitudine invece ha riempito la nostra casa e
di conseguenza anche io non potevo avere molte chance per invitare amici anche
semplicemente per studiare.
Come sono andata avanti allora? Facendo forza solo su
me stessa. Contando sulle mie capacità e cercando di farle venire fuori nel
lavoro e nelle relazioni. Non è facile tirare dritto quando qualcuno rema
contro ma sono riuscita ad impostare la mia vita al di fuori di tutto ciò che
la mia famiglia di origine mi avevano insegnato. Ho stravolto i miei
sentimenti, li ho fatti venire a galla e poi li ho regalati a mio marito e a
mio figlio.
Scrivo oggi dopo essere rientrata dalla casa di
riposo nella quale ho dovuto mettere la mamma.
Lei ormai quasi novantenne ha condotto fino ad un
mese fa una vita di cocciuta solitudine. Non apprezzava mai né le mie visite né
quelle della vicina, persona dolce e premurosa. Chiusa in una ostinata caparbia
ha voluto gestirsi in tutto sempre a modo suo finché un ictus ha sfasciato il
castello che si era creata e le ha fatto perdere la testa e le minime capacità
motorie che ancora aveva.
In un attimo ho visto la mamma sotto un diverso punto
di vista.
Non era più “la cattiva madre” che avevo quasi odiato
e che ancora mi faceva arrabbiare per come mi trattava, improvvisamente non
aveva più difese e senza l’aiuto del prossimo non poteva più andare avanti.
E stranamente, quando in ospedale mi hanno parlato
della necessità di trovare al più presto una struttura che la accogliesse, mi
sono sentita in colpa, come se il trasferimento volesse dire che non m’importava
più niente di lei, che disconoscevo il suo ruolo nei miei confronti e che
quindi l’abbandonavo.
Ho quasi smesso di dormire la notte, di mangiare il
giorno.
Mi sentivo una pressione addosso che non avevo mai
provato e che non avrei mai immaginato di concepire, un peso enorme sulla
responsabilità della scelta da fare.
Poi, inevitabilmente, la scelta è stata
fatta e ieri, proprio ieri l’ho lasciata al suo nuovo destino. Io non sarò
sempre lì, dovrà farsi aiutare da persone estranee e dovrà avere quella
pazienza che mai l’ha caratterizzata nel suo passato.
Oggi cerco di ritrovare il sorriso, cerco di pensare
che va bene così e soprattutto provo a riprendere in mano la mia vita che da un
mese è stata fagogitata, come in passato da colei che mi ha generato e
ignorato per tutti questi anni.
È un racconto davvero ricco di sentimenti, di ricordi, mi ha emozionato. Buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Ciao Sinforosa. Purtroppo la mia assenza in questo periodo è stata causata proprio da ciò che ho raccontato. Ho infatti aggiunto all'ultimo momento e prima di pubblicare il capitolo, che era invece già scritto da tempo, la parte della malattia. La mamma sta veramente male e la scelta di metterla in una struttura, viste le condizioni, mi ha prostrato per giorni. La vita ci riserva sempre novità a volte piacevoli altre volte amare. Supererò questo momento ma certo lascerà un segno forte dentro di me. Grazie di seguirmi sempre e di raccontarmi ciò che provi leggendo il racconto. So di lavorare molto con i sentimenti e le emozioni ma è ciò che mi interessa comunicare. Buona serata carissima.
EliminaL’avevo sospettato, mi dispiace tantissimo per la tua mamma, che al di là di tutto sono sicura che a modo suo ti vuole e ti ha voluto tanto bene, di certo penso che non volesse denigrarti. Spero tu sia abbastanza vicina alla struttura per poterla seguire in questo frangente tristissimo e per farti sentire più vicina a lei. Ti sono vicina, e sono vicina alla tua mamma, con la preghiera, che, per chi crede, è davvero forza e coraggio. Un abbraccio, di cuore.
RispondiEliminasinforosa