Capitolo 14.
Silverio partì dopo qualche giorno e cantò tutte le
sere, sulla nave, molto apprezzato da tutti. Il complesso era composto da
quattro persone che suonavano vari strumenti. Lo zio si esibiva sempre con il
contrabbasso anche mentre, con la sua voce, riempiva la grande sala piena di
passeggeri.
Quando arrivarono a Nairobi tutto il gruppo fu
trasferito in un albergo e poi per dieci giorni si esibirono tutte le sere in
un locale frequentato da italiani che si erano trasferiti là. Fu per caso che
lo zio conobbe marito e moglie che abitavano a Johannesburg nel sud Africa.
Loro avevano un locale ben avviato e in quei giorni
decisero che valeva la pena di convincere il cantante del complesso a seguirli.
Il lavoro sarebbe stato sicuro e ben pagato. Gli altri componenti del gruppo
potevano tornare in Italia se lo desideravano, queste persone infatti avevano
già un complesso che suonava, ma lo zio era prezioso perché avrebbe attirato
nuovi clienti, curiosi di sentire le canzoni italiane del momento.
Silverio non ebbe dubbi e accettò subito la proposta.
Non gli importava se la lontananza avrebbe rotto definitivamente i rapporti con
Miriam. Il loro amore era ostacolato da tutti e quindi questo contratto lo
avrebbe aiutato a superare il problema.
Mentre eravamo tutti sicuri del rientro in Italia
dello zio, arrivò una telefonata alla quale rispose la mamma.
“Clarissa sono Silverio”
“Oddio che gioia sentirti. Come stai? Quando partirai
per tornare e fra quanto tempo potremo rivederti?”
“Senti Clarissa, devo dirti una cosa…”
“Cosa è successo… stai male?”
“No. Sto bene non preoccuparti. Ma ti devo dire una
cosa…io non torno.”
“Come non torni?”
“Non rientro per ora in Italia. Bernard e Kathie, ti
ricordi, ti ho parlato di loro nell’ultima lettera, mi hanno offerto un buon
posto di lavoro, giù da loro.”
“Ma stai scherzando? E tu ti fidi così tanto di due
persone conosciute da poco tempo?”
“Sì mi fido. Sono brave persone credimi Clarissa. Mi
danno da lavorare e mi pagheranno bene. Io non torno in Italia. E poi a fare
che? Lo sai a chi voglio bene e con lei non ho speranze. I cugini non sono
destinati ad amarsi e allora posso vivere la mia vita lontano, così almeno
soffriremo meno entrambi.
“No ti prego, non lo fare, pensa anche al resto della
tua famiglia.”
“Non ho famiglia, o meglio non ho una famiglia mia.
Dai retta a me questa è la soluzione migliore.”
“E ora come farò a dirlo alla mamma.”
“Beh, le passerà. Del resto non c’è mai stato un
grande amore fra noi. Mamma non è il mio primo pensiero e lo sai. Mi spiace per
te ma forse ti ho sfruttato abbastanza. Ora devo dimostrare a me stesso che
posso farcela da solo.”
Mia madre si mise a piangere e la telefonata finì con
i singhiozzi e le lacrime.
Non tutto purtroppo andò come sperato.
All’inizio tutto filò liscio. Lo zio cantava e nel
locale affluivano tante persone grazie ad un passaparola che portava clienti un
po’ da tutta la città.
Silverio ci scriveva lettere raccontando la sua vita
e le persone che conosceva ogni sera.
Dopo qualche anno la sua voce purtroppo s’incrinò e
per lui divenne difficile mantenere il lavoro. Presto dovette adattarsi ad ogni
genere di attività ma mai volle tornare in Italia; c’era sempre qualcosa che
qui gli bruciava l’anima, pertanto la lontananza sembrava rimanere la sola
medicina.
Col tempo conobbe una ragazza inglese che abitava con
la famiglia in città. Le piacque e dopo un periodo di fidanzamento si
sposarono. Lui riuscì a trovare un posto di lavoro in un ufficio e con Rachael decisero
di avere un figlio.
Nacque quindi mia cugina Sandra e a noi arrivarono
alcune foto.
La mamma diceva: “Guarda Anna com’è bella questa
bambina. Assomiglia a Silverio però è bionda come la mamma. Dio come vorrei
vederla da vicino, ma chi ce li ha i soldi per andare in Africa…”
E mio padre: “Figurati. Non li vedremo mai. Poi tu in
aereo con la paura che hai come faresti?”
“Non è vero! Troverei il coraggio che serve se
potessi. Mi manca tanto mio fratello.”
“Lo so. Ma che vuoi farci è così che va, devi portare
pazienza ed essere felice perché lui sta bene e ha la sua famiglia.”
Intanto il tempo trascorreva inevitabile e
inesorabile.
All’epoca era ancora abbastanza difficile comunicare
e quasi tutte le notizie ci arrivavano per “posta aerea”. Riconoscevo sempre le
lettere di Silverio perché la carta usata per la spedizione era leggerissima e
tutta la busta, oltre ad essere di colore azzurrino, sul bordo, aveva delle
striscette colorate rosse e blu.
Quando lo zio riuscì finalmente a mettere il telefono
in casa riuscimmo a sentire la sua voce un po’ più spesso e a me faceva uno
strano effetto. La parlata ormai non era più tanto fluida in italiano e a me
ripeteva sempre:
“Annina non mi dimenticare. Mi vuoi ancora bene?”
“Sì zio non ti ho dimenticato, giuro. Ti voglio
ancora tanto bene. Ma perché non vieni mai?”
“Ci vogliono troppi soldi per l’aereo e io non ce li
ho. Dovrei portare anche la tua zia e Sandra. No, no, non posso. Ricordami però.”
“Certo zio, anche tu pensami un po’ mi raccomando.”
Un anno dopo la nascita di Sandra anche Miriam ebbe
un figlio.
Lei era andata ad abitare a Torino col marito e io
non l’avevo più vista. Le notizie arrivavano comunque tramite la nonna che
parlava col fratello e fu grazie ad una delle tante telefonate che venimmo a
conoscenza sia della notizia che del nome del bambino: Sandro.
Per tutta la famiglia fu la prova che non si erano
dimenticati l’uno dell’altra.
“Ma quando si sono sentiti quei due?” diceva mia
madre “Devono averlo fatto, devono aver deciso insieme questa cosa, nessuno me
lo toglie dalla testa.”
Un sottile legame quindi restava grazie al nome dei
figli che avevano avuto e che forse non a caso era stato scelto da mio zio,
perché ci potessero essere sia la versione femminile che quella maschile.
Ho sempre sospettato che quel nome fosse stata una
scelta ben ponderata fin dall’inizio e da entrambi.
La prova fu davanti a tutti noi con quel battesimo.
Avevo perso questo, ritornerò a leggere con più calma, ciao.
RispondiEliminasinforosa