Capitolo 13.
Nella telefonata fra la nonna e mia madre si
preannunciavano quindi momenti
difficili. La nonna incredula non sapeva cosa pensare e, con la sua poca
cultura non si rendeva neppure conto, appieno, della lontananza di cui stavano
parlando.
“Ma cosa gli è saltato in mente? Partire, andare
lontano, perché… Gli succederà qualcosa me lo sento”
Mia madre le accennava ad un ingaggio su una grande
nave da crociera sulla quale lo zio avrebbe cantato tutte le sere e inoltre il
viaggio prevedeva una sosta a Nairobi in Kenia, dove lo zio si sarebbe esibito
con il suo complesso per una decina di giorni, dopo di che sarebbero tornati
tutti in Italia.
“Stai tranquilla mamma, tornerà presto e non gli
capiterà niente di brutto. E’ un uomo e ha bisogno di fare la sua vita:”
Non fu facile calmare la nonna e farla dormire quella
notte. Piangeva, malediceva il giorno in cui Silverio aveva imparato a suonare,
si arrabbiava con se stessa e poi con mia madre e anche col fratello, che aveva
contribuito a farlo andare lontano ostacolando l’amore con Miriam.
Io non sapevo cosa pensare. Immaginare lo zio lontano
era impossibile. Pensare alla nostra casa senza di lui era altrettanto
impossibile. Piansi anch’io ricordo, di un pianto più tenue ma bruciante al
tempo stesso.
La telefonata di quel giorno fu un vero spartiacque
nella nostra famiglia perché improvvisamente non sembrava più di dover
affrontare il quotidiano ma qualcosa di più grande, qualcosa che avrebbe
portato delle conseguenze nel tempo e nella vita di tutti noi.
Oggi ho sessantacinque anni.
Sul ripiano del copritermosifone in legno che ho
accanto al letto nella mia camera, ci sono disposte tante cornici e foto che mi
ricordano tutti i giorni persone di famiglia. Ce n’è una con mio marito e mio
figlio quando era piccolo, fatta a Bomarzo. La bocca del mostro incombe sulle
figure ma loro sono sorridenti e ammiccano verso di me che stavo fotografando.
“Ciao mamma - sembra dire mio figlio, cappellino in
testa e pantaloni corti - il mostro mi mangia…”
Accanto c’è una foto di mio padre. Anche in questa
c’è mio figlio di pochi mesi, in collo al nonno. Si vedono principalmente i
visi e mio padre guarda talmente dritto nell’obiettivo fotografico che da
qualunque punto tu guardi l’immagine, i suoi occhi ti seguono, comunicandoti
tutta la gioia che aveva dentro in quel momento.
C’è poi una cornice argentata grande, dagli angoli
smussati. Lì ho raccolto insieme una foto dei miei suoceri e un’altra con tre
dei loro quattro figli. Sono tutti molto giovani, e l’immagine in bianco e
nero, ricorda ancor meglio il tempo passato. C’è pace tra i miei suoceri, che
si guardano con un affetto che nel corso degli anni è purtroppo venuto meno.
Mio marito è un bambinetto ed è con i fratelli maggiori che lo sovrastano
seduti su una staccionata.
Ci sono poi piccole cornici con foto mie di quando
ero bambina, assieme al babbo, e altre più recenti della mia famiglia; tutte
riempiono il mio cuore di momenti importanti ormai trascorsi.
Fra queste foto ce n’è una anch’essa in bianco e nero,
nella quale sono insieme a Silverio. Fu fatta pochi giorni prima della sua
partenza. Data scritta sul retro 1960. Io ho il solito vestitino a pieghe, i
capelli corti con la divisa da una parte, i calzini bianchi e le scarpette
scure. In mano ho la custodia della macchina fotografica e sto ridendo come mi
aveva detto di fare mio padre.
Siamo sul terrazzo della casa, dove abitavamo e il
sole ci illumina, forte e impietoso. Lo zio è accanto a me e la sua mano
sinistra è appoggiata sulla mia spalla, nella destra una sigaretta. E’ ben
vestito con pantaloni più chiari della giacca, camicia bianchissima con
cravatta scura; porta gli occhiali da sole e dal suo viso non traspare
felicità.
E’ l’unica foto che ho di lui ed è anche l’ultima
immagine netta che ricordo,
oltre al momento dell’addio quando, valigia in mano,
venne a cercarmi ed io ero nascosta in camera mia perché non volevo salutarlo.
“Anna non mi saluti? Neppure un bacino mi dai? Lo sai
che starò via a lungo e quindi vuoi che vada via senza un abbraccio?”
“Non voglio che tu parta. Mandaci gli altri a suonare
sulla nave. Io ti voglio qui con me.”
“Lo sai che non posso. Un lavoro è un lavoro e non si
può dire di no. Quando tornerò ti porterò un regalo dall’Africa. Chissà cosa
hanno loro di bello là per te…comunque io lo troverò e te lo porterò”
“Non voglio niente. Non voglio regali”
“Va bene. Comunque una sorpresa per te ci sarà
sempre. Allora ciao, ora devo proprio andare.”
Gli saltai al collo e lo baciai e lo riempii di
lacrime ma niente di ciò valse a fermarlo.
Rivedere quella foto ogni sera quando vado a dormire
è un modo per mandargli un saluto, lo stesso di quell’addio, perché fu davvero
un addio in piena regola.
Questo capitolo è bellissimo, complimenti sinceri. Buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Grazie cara sei veramente gentile. Buonanotte😊
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