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martedì 2 ottobre 2018

All'angolo della strada principale... "Racconto. Capitolo 13"




Capitolo 13.

Nella telefonata fra la nonna e mia madre si preannunciavano quindi  momenti difficili. La nonna incredula non sapeva cosa pensare e, con la sua poca cultura non si rendeva neppure conto, appieno, della lontananza di cui stavano parlando.
“Ma cosa gli è saltato in mente? Partire, andare lontano, perché… Gli succederà qualcosa me lo sento”
Mia madre le accennava ad un ingaggio su una grande nave da crociera sulla quale lo zio avrebbe cantato tutte le sere e inoltre il viaggio prevedeva una sosta a Nairobi in Kenia, dove lo zio si sarebbe esibito con il suo complesso per una decina di giorni, dopo di che sarebbero tornati tutti in Italia.
“Stai tranquilla mamma, tornerà presto e non gli capiterà niente di brutto. E’ un uomo e ha bisogno di fare la sua vita:”
Non fu facile calmare la nonna e farla dormire quella notte. Piangeva, malediceva il giorno in cui Silverio aveva imparato a suonare, si arrabbiava con se stessa e poi con mia madre e anche col fratello, che aveva contribuito a farlo andare lontano ostacolando l’amore con Miriam.
Io non sapevo cosa pensare. Immaginare lo zio lontano era impossibile. Pensare alla nostra casa senza di lui era altrettanto impossibile. Piansi anch’io ricordo, di un pianto più tenue ma bruciante al tempo stesso.
La telefonata di quel giorno fu un vero spartiacque nella nostra famiglia perché improvvisamente non sembrava più di dover affrontare il quotidiano ma qualcosa di più grande, qualcosa che avrebbe portato delle conseguenze nel tempo e nella vita di tutti noi.

Oggi ho sessantacinque anni.
Sul ripiano del copritermosifone in legno che ho accanto al letto nella mia camera, ci sono disposte tante cornici e foto che mi ricordano tutti i giorni persone di famiglia. Ce n’è una con mio marito e mio figlio quando era piccolo, fatta a Bomarzo. La bocca del mostro incombe sulle figure ma loro sono sorridenti e ammiccano verso di me che stavo fotografando.
“Ciao mamma - sembra dire mio figlio, cappellino in testa e pantaloni corti - il mostro mi mangia…”
Accanto c’è una foto di mio padre. Anche in questa c’è mio figlio di pochi mesi, in collo al nonno. Si vedono principalmente i visi e mio padre guarda talmente dritto nell’obiettivo fotografico che da qualunque punto tu guardi l’immagine, i suoi occhi ti seguono, comunicandoti tutta la gioia che aveva dentro in quel momento.
C’è poi una cornice argentata grande, dagli angoli smussati. Lì ho raccolto insieme una foto dei miei suoceri e un’altra con tre dei loro quattro figli. Sono tutti molto giovani, e l’immagine in bianco e nero, ricorda ancor meglio il tempo passato. C’è pace tra i miei suoceri, che si guardano con un affetto che nel corso degli anni è purtroppo venuto meno. Mio marito è un bambinetto ed è con i fratelli maggiori che lo sovrastano seduti su una staccionata.
Ci sono poi piccole cornici con foto mie di quando ero bambina, assieme al babbo, e altre più recenti della mia famiglia; tutte riempiono il mio cuore di momenti importanti ormai trascorsi.
Fra queste foto ce n’è una anch’essa in bianco e nero, nella quale sono insieme a Silverio. Fu fatta pochi giorni prima della sua partenza. Data scritta sul retro 1960. Io ho il solito vestitino a pieghe, i capelli corti con la divisa da una parte, i calzini bianchi e le scarpette scure. In mano ho la custodia della macchina fotografica e sto ridendo come mi aveva detto di fare mio padre.
Siamo sul terrazzo della casa, dove abitavamo e il sole ci illumina, forte e impietoso. Lo zio è accanto a me e la sua mano sinistra è appoggiata sulla mia spalla, nella destra una sigaretta. E’ ben vestito con pantaloni più chiari della giacca, camicia bianchissima con cravatta scura; porta gli occhiali da sole e dal suo viso non traspare felicità.
E’ l’unica foto che ho di lui ed è anche l’ultima immagine netta che ricordo,
oltre al momento dell’addio quando, valigia in mano, venne a cercarmi ed io ero nascosta in camera mia perché non volevo salutarlo.
“Anna non mi saluti? Neppure un bacino mi dai? Lo sai che starò via a lungo e quindi vuoi che vada via senza un abbraccio?”
“Non voglio che tu parta. Mandaci gli altri a suonare sulla nave. Io ti voglio qui con me.”
“Lo sai che non posso. Un lavoro è un lavoro e non si può dire di no. Quando tornerò ti porterò un regalo dall’Africa. Chissà cosa hanno loro di bello là per te…comunque io lo troverò e te lo porterò”
“Non voglio niente. Non voglio regali”
“Va bene. Comunque una sorpresa per te ci sarà sempre. Allora ciao, ora  devo proprio andare.”
Gli saltai al collo e lo baciai e lo riempii di lacrime ma niente di ciò valse a fermarlo.
Rivedere quella foto ogni sera quando vado a dormire è un modo per mandargli un saluto, lo stesso di quell’addio, perché fu davvero un addio in piena regola.


2 commenti:

  1. Questo capitolo è bellissimo, complimenti sinceri. Buona serata.
    sinforosa

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