Il commissario Bordelli mi è sempre piaciuto quindi, appena
il libro è uscito, ho pensato di prenderlo.
La lettura però si è dilungata tantissimo, un po' lo leggevo
e un po' lo lasciavo alternandolo con un altro libro.
La critica che mi sento di esprimere parte dallo stile
narrativo usato che si è fatto lentissimo in questa avventura del commissario.
Si parla "troppo" dei moti studenteschi del '68,
delle reminiscenze di guerra e in tutto ciò s'intersecano (ma quasi fossero
cose secondarie) le morti di alcune persone delle quali però Bordelli sembra
rimanere ai margini.
Mentre leggevo il trascorrere di inutili giornate nelle
quali il commissario non pensava ad altro che fare passeggiate, cogliere la
primavera in arrivo, guardare le gambe delle giovani studentesse, mi chiedevo
dove fosse finita la bellezza delle storie precedenti e come mai l'autore
avesse sprecato 600 pagine per non raccontare nulla.
Il riferimento al cantante Don Backy poi è stata la cosa che
più mi ha lasciata senza parole. Mi ha sconcertato il modo in cui ne ha parlato
e l'inutilità del fatto, lasciandomi ancora più amareggiata.
La storia poi non finisce, sarà l'avvio del prossimo libro?
Spero che Vichi torni al vecchio modo di raccontare un commissario simpatico
che qui non lo è più; un commissario che incalza gli assassini e che interpreta
la legge ma senza bisogno di perdere tempo.
Purtroppo "nel più bel sogno" per me è diventato
spesso "nel più bel sonno"....
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