Sono
andata a vedere il film “Il caso Spotlight” incuriosita dal successo e
dall’Oscar ricevuto. Sapevo a grandi linee l’argomento che avrebbe trattato e
quindi gli interrogativi che ne sarebbero venuti fuori dopo, parlando con amici
e conoscenti.
Il
film mi è piaciuto molto, gli attori sono bravi e l’argomento viene trattato
con delicatezza anche se, evidentemente, è molto forte e poco “digeribile”.
Nel
film alcuni giornalisti (di cui si enfatizza molto l’operato, ma se non sbaglio
è una caratteristica tutta americana) mettono in luce quello che per anni e
anni è stato un argomento insabbiato dalla chiesa e da coloro che ci hanno
guadagnato sopra: la pedofilia ad opera dei sacerdoti.
Problema
non da poco di cui, anche qui in Italia, si parla sempre in modo vago e
superficiale e, nonostante che Papa Francesco abbia più volte detto che è un
fenomeno da contrastare e da stroncare, nella realtà dei fatti, gli alti
prelati continuano a nascondere la vera entità del problema.
“Non
sono qui a difendere l’indifendibile. La Chiesa cattolica ha commesso errori enormi
sulla pedofilia, ma sta lavorando per rimediare. Ha causato gravi danni in
molti luoghi e ha deluso i fedeli”. È stato questo il mea culpa del cardinale
australiano George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia della Santa
Sede, pronunciato pochi giorni fa, davanti alla Commissione nazionale
d’inchiesta del suo Paese, commissione che indaga sulle risposte delle
istituzioni agli abusi sessuali sui minori avvenute negli ultimi decenni. Ma
questo, non gli ha permesso comunque di dire pienamente tutto ciò che sapeva, dopo
settimane di rinvii, certificati medici e dopo aver giurato sulla bibbia. Pell
infatti, davanti ad una delle vittime, ha negato di essere stato a conoscenza
degli abusi dei preti pedofili che operavano nella diocesi di Ballarat in cui
fu viceparroco tra il 1973 e il 1983. E questo fa riflettere molto.
Nel
film si spiegano chiaramente quale tipo di conseguenze abbiano questi abusi: i
ragazzi soffrono di gravi turbe psicologiche che li portano a drogarsi o a
divenire giovani sbandati o a loro volta violentatori. Ovviamente ci sono anche
quelli che, grazie ad un sostegno, si riabilitano, fanno pace con sé stessi
realizzando che non è loro la colpa, la responsabilità di ciò che è successo.
La
cosa che emerge chiaramente è comunque, il senso di tradimento che non ti
abbandona più; le persone nelle quali questi giovani credevano e che dovevano
insegnare loro ad avere fiducia in sé e nella società che li circondava, erano
proprio quelli che tradivano, che si approfittavano della giovane età e
dell’inesperienza e che minacciavano, ricattavano i ragazzi affinché il silenzio
coprisse tutte le loro colpe.
Quale
sia il problema alla base di questa scandalosa situazione (obbligo del celibato,
crisi nei valori morali della chiesa stessa, sottovalutazione della mancanza di
un vero percorso educativo dei seminaristi) la chiesa dovrebbe affrontare, una
volta per tutte, questo spinoso argomento, “confessando” le proprie
responsabilità e miopie.
“Chi scandalizza anche uno solo di questi
piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo
una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18,
6).
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