Stamani con i miei ragazzi, che frequentano
la quinta classe elementare, abbiamo parlato a lungo degli eventi di Parigi.
All’ingresso in classe erano già tutti presi dai commenti, perché ognuno di
loro aveva visto e sentito le notizie alla televisione.
Quando avvengono fatti di portata così
considerevole sono abituata a discuterne con gli allievi, in modo da far uscire
le loro paure e anche perché non debbano pensare che in classe non si possono
affrontare argomenti legati alla politica o al terrorismo.
Certamente occorre stare molto attenti e
soprattutto parlarne alla loro portata, che non vuol dire banalizzare
l’argomento, ma spiegarlo in modo comprensibile.
Molti di loro erano sinceramente
preoccupati. Le loro domande vertevano principalmente sulla possibilità che ciò
che è capitato a Parigi potesse succedere anche qui da noi. Inutile
minimizzare, i pericoli ci sono e bisogna averne un minimo di coscienza ma, ho
detto loro, non possiamo vivere
nell’angoscia, dobbiamo essere un po’ fatalisti e imparare a godere del
bello di tutti i giorni, per tenere gli animi sgombri dalla tensione.
Perché
quello, è ciò che vogliono gli attentatori: ricacciarci in un medioevo culturale,
toglierci il piacere di una vita libera e condivisa con il prossimo.
La conversazione è stata lunga ma tutti
erano attenti e partecipi, ognuno alzava la mano e chiedeva, voleva capire i
perché e le conseguenze. Poi tutta la scuola ha rispettato un minuto di
silenzio e loro si sono alzati in piedi e si sono guardati, con un senso di
sgomento negli occhi, senza risatine come a volte succede per le banalità.
Allora ho capito che avevano fatto loro il
problema, che erano entrati dentro a qualcosa di più grande di loro stessi ma
che avevano compreso tutto.
Non abbiamo fatto lezione, niente italiano,
niente matematica per una mattina ma storia di vita, quella sì davvero!
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