Capitolo 10.
Era deciso che saremmo andati con un viaggio
organizzato, insieme ad altre persone del paese, molte delle quali conoscevo e
mi stavano simpatiche. Partimmo prestissimo al mattino col pullman. Io ero
molto tesa e avevo già lo stomaco ballerino alla prima curva. Avremmo dovuto
farne tante, di curve, e in quell’occasione scoprii uno zio diverso, più
premuroso, anche nei miei confronti, che mi rassicurò, mi fece mangiare dei
biscotti e mi disse:
“Guarda fuori dal finestrino così ti distrarrai e non
sentirai più male”.
E così feci.
Guardavo nel buio di un’alba ancora lontana, col naso
e gli occhi incollati al vetro del finestrino, cespugli di ginestre, ciclisti
frettolosi che andavano a lavoro, i grandi soffioni boraciferi che eruttavano in
alto verso il cielo, un fumo denso dalle larghe bocche.
Il viaggio fu lungo, ci furono soste e tante immagini
si piazzarono indelebili nella mia testa di quattordicenne.
La sera, l’albergo napoletano ci aspettava ma io ero
impaziente perché volevo soprattutto mangiare. Lo zio, insieme ad un gruppetto
di amici, scelse una pizzeria vicina e molto folcloristica. Ci sedemmo e il
ristoratore, chiedendo le nostre preferenze, mi apostrofò:
“Come la vulite ‘a pizza peccirella? La vulite bianca
senza pummarola?”
“Posso prenderla zia? Bianca non l’ho mai
assaggiata.”
All’inizio lo zio non era d’accordo. La zia cercava
di convincerlo ma solo l’intervento degli amici seduti a tavola con noi servì a
fargli prendere una decisione.
“Ma perché non vuoi che mangi ciò che le pare? E’ una
ragazza, ormai sa decidere”
“Forza, smetti di fare il dittatore e lasciala in
pace. Anna la vuoi proprio?”
“Sì certamente”
“Allora guarda la prendiamo anche io e mia moglie
così non sarai sola!”
Ricordo come fosse oggi il sapore di quella pasta
morbidissima piena di formaggio con una foglia di alloro al centro. Credo che
sia stata la cosa più buona di tutta la gita. Quando tornammo in albergo
scoprii un’altra cosa alla quale non ero abituata. Sotto l’albergo passava la
metropolitana ed io, per la prima volta sentii lo sferragliare dei treni sotto
il guanciale.
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