Capitolo 2.
Io e il nonno percorrevamo
con attenzione un tratto di strada sterrato che ci permetteva di arrivare vicino
ai binari, e il treno era immediatamente il primo ostacolo da superare.
La ferrovia passava da lì
senza grandi protezioni per chi volesse attraversarla. C’erano paletti in
cemento bianco sgretolati che non riuscivano più a sbarrare il cammino perché
ridotti a scheletri di solo ferro arrugginito attraverso i quali, io bambina,
passavo facilmente.
“ Stai attenta a non farti
male e soprattutto scivola attraverso, spostando le spalle, in modo da trovarti
di profilo. Dopo, puoi sgattaiolare veloce” mi diceva il nonno.
Lui era magro e sapeva
bene qual era il punto preciso che gli permetteva di passare inosservato e io
gli andavo dietro senza avere dubbi o timori.
Ci trovavamo subito davanti
ai binari.
E qui per me, ogni volta
era un tuffo al cuore perché la paura che il treno arrivasse all’improvviso era
forte. In realtà in quel punto i binari correvano dritti e si vedeva e si
sentiva con molto anticipo se stava arrivando una locomotiva, sia che stesse
partendo dalla piccola stazione vicina per andare verso il porto, sia che
invece stesse arrivando da qualche città.
E un treno che passava di
solito c’era.
Io e il nonno rimanevamo
prudentemente vicini e il più lontano possibile dai binari e quando sentivo lo
sferragliare della macchina con le carrozze dietro, avevo un brivido.
Il mio corpo, tutto,
vibrava di piacere quando l’aria si muoveva veloce, spostata dalla mole del
treno: gli occhi chiusi, i muscoli in tensione, la bocca semiaperta, un rapido
urletto e poi finalmente la consapevolezza che era passato e non c’era più
pericolo.
I treni hanno un odore
particolare dovuto ai materiali ferrosi che sono usati, ai freni che si
surriscaldano, ai passeggeri che li invadono e questo odore nel tempo non è
cambiato. Ancora oggi, quando entro in una stazione, percepisco con tutta me
stessa le medesime emozioni che provavo in quei momenti e l’odore, sempre quello
negli anni, mi fa battere il cuore.
Ma la mia avventura doveva
proseguire, ed io ben consapevole che ogni giorno il nonno avrebbe inventato
qualcosa di nuovo per farmi felice, gli davo la mano e scavalcavo i binari per
proseguire la strada che mi avrebbe portato al mare.
Il mio nonno era un
personaggio particolare.
Si chiamava Carlo ed era
un nonno acquisito, dato che era il secondo marito della nonna ma, né lui né io,
abbiamo mai sentito la differenza. Mi voleva molto bene e dedicava tutto il suo
tempo a rendermi felice e curiosa.
Scattante, sempre
indaffarato, quando ancora lavorava ed io trascorrevo le mie vacanze estive a casa dei nonni, ricordo ancora che la mattina molto presto si preparava, indossava una tuta
blu scura e, con un pentolino nel quale portava il suo pranzo, si avviava verso
l’altoforno.
Era un lavoro duro e non
schivo da pericoli il suo.
L’ingresso della grande
acciaieria non distava molto dalla casa nella quale i nonni abitavano e in
certe ore della giornata sciami di uomini camminavano chiacchierando, tutti
uguali per strada, avviandosi ciondolando, per l’inizio del turno.
A me bambina, che li osservavo
dalla finestra, quest’onda blu che passava per strada mi sembrava un fiume,
tranquillo, che defluiva anziché verso il mare, all’interno del paese. Non mi
rendevo conto del sacrificio e a volte delle sofferenze che si nascondevano
negli animi di quegli uomini, ma ero ancora piccola per pormi domande così; a
me sembrava solo un curioso corteo quello che giornalmente scivolava sotto la
finestra.
Quando arrivò il momento
della pensione del nonno per me fu una vera gioia: sapevo che avrebbe
potuto dedicarmi molto più tempo e questo mi incuriosiva facendomi fantasticare
su tutto ciò che avremmo potuto fare insieme da quel momento in poi.
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