Capitolo 12.
Lui è stato lo zio più amato e pianto da me e dalla
famiglia intera.
Era di cinque anni più giovane della mamma ed è
sempre stato un po’ scapestrato. Lo dico non perché abbia mai fatto qualcosa di
sconveniente, ma indubbiamente la sua vita è trascorsa accumulando esperienze
non troppo convenzionali rispetto alla vita condotta dal resto della famiglia.
Era un uomo dall’aspetto molto giovanile e piacevole,
simpatico, sempre con la battuta pronta. Aveva un naturale disinteressamento
per i soldi che spendeva senza preoccuparsi troppo del dopo e un’altrettanta
innata capacità di saper portare qualsiasi capo di vestiario con leggerezza.
Vissuto un po’ con la mamma e il patrigno e un po’ in
giro in altre città, venne ad abitare a casa con i miei visto che ormai eravamo
a Firenze, perché quella città gli sembrava il miglior posto per esaudire i
suoi sogni.
A lui piaceva cantare e suonare il contrabbasso e ben
presto mise su un complessino col quale si esibiva nei locali. Erano brevi
apparizioni ma non gli mancava una bella voce, di quelle che andavano bene
negli anni sessanta.
Cantava anche in casa ed io ascoltavo in silenzio la
sua voce:
“Il problema
più importante per noi
è di avere
una ragazza di sera
se restiamo
da soli, soli tutto male
non si può
neanche cantar
forse non ci
crederete
ma è vero
la
malinconia ci prende di sera
con la barba
già fatta
soli, senza
nessuno,
ce ne andiam
per la città.”
Gli ero particolarmente affezionata perché portava
sempre una ventata di umorismo e di leggerezza, alleviando le pesanti giornate
di rinunce che a cui eravamo abituati.
Non gli piaceva lavorare, ma non perché fosse uno
scansafatiche, ma solo perché era una persona estrosa, che voleva vedere il
mondo e fare ciò che gli piaceva di più, soprattutto avere un palco sul quale
esibirsi.
Questo ovviamente portava qualche problema per il “vile”
mantenimento e ricordo alcune discussioni fra mia madre e lui, proprio a questo
proposito.
“Ma crescerai prima o poi?”
“Dai Clarissa ma che male c’è a vivere alla giornata?
Lo sai che mi piace rischiare un po’.”
“Già però mangi tutti i giorni!”
“Sì hai ragione. Non ti do mai niente e so che anche
tu non hai da scialare…”
“Altro che scialare! Io e Ilvo lavoriamo ma i soldi
sembrano non bastare mai. Poi c’è Anna.”
All’epoca la mamma faceva la sarta e il babbo aveva
finalmente trovato un impiego presso l’Azienda dei trasporti cittadina ma era
solo da poco tempo quindi, alla fine del mese, dovevamo tutti fare qualche
sacrificio .
Comunque Silverio non aiutava un granché il buon
andamento delle finanze così, un fratello della nonna, Artemio, gli offrì di
lavorare per lui nella sua macelleria. La carne con il canto non andavano molto
d’accordo ma per un po’ di tempo almeno sembrò una soluzione.
Questo evento in realtà cambiò di non poco le
relazioni fra Silverio e Artemio. La causa, come spesso succede, fu l’amore. Un
amore tenero, sbocciato fra i due cugini che a dispetto del legame parentale così
stretto, si amarono, fin da subito, reciprocamente.
Miriam aveva quasi la stessa età di Silverio. Si
videro nel negozio dopo anni di lontananza e fra loro, quasi da subito, nacque
un sentimento così forte che avrebbe potuto rompere tutte le remore della
società.
Miriam era bella. Sottile, bionda, aveva un viso e un
corpo da far girare chiunque per strada. Abbastanza riservata non aveva mai
dato adito a chiacchiere di alcun genere. Un fidanzato l’aveva avuto ma poi era
finita e all’epoca era sola. Suonava il pianoforte e dava lezioni private a
quei ragazzini i cui genitori volevano a tutti i costi figli acculturati che
sapessero far colpo sugli amici nelle serate ad invito. Ma la musica nella vita
ha un altro ruolo. Apre una strada misteriosa verso luoghi lontani, fa
ricordare più facilmente le emozioni e i sentimenti, aiuta l’orecchio alle
mille sfumature delle vibrazioni, insomma s’impara a parlare una lingua diversa
mossa non dalla bocca ma dalle mani. Ma a quei genitori non importava niente di
tutto ciò e dicevano:
“Signorina Miriam mi raccomando, Giulio deve imparare
bene il Preludio di Chopin e quell’altro brano…sì, Al chiaro di luna di
Beethoven. Abbiamo un architetto con la famiglia domani sera a cena e non
vogliamo che il bambino faccia brutta figura.”
Miriam faceva del suo meglio perché i suoi ragazzini
diventassero bravi ma poi, finite le lezioni, sgattaiolava da casa e
s’incontrava con lo zio.
Uscivano di nascosto, nessuno in famiglia doveva
scoprire ciò che stava nascendo fra di loro, e trascorrevano il tempo
camminando per la città, mano nella mano. Quando improvvisamente tutto venne
scoperto fu un motivo in più di apprensione per i miei che prefigurarono un
futuro irto di ulteriori difficoltà.
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