Ieri
è stato il mio compleanno.
Gioia
per la festa e tanti amici che mi hanno dimostrato affetto; ma quando ormai la
giornata stava finendo è arrivata la notizia della strage di Nizza ed è sparito
tutto ciò che di bello aveva coronato la mia giornata.
Dire
“inaccettabile, spaventoso, inumano” è solo pronunciare parole che salgono su
dall’animo ma che non cambiano la follia di questa guerra.
Sì
certo, ormai la chiamiamo da tempo guerra.
Non
c’è una vera nazione da combattere.
Non
un capo con cui parlare.
Non
un esercito definito che si concentra in alcune zone e sferra attacchi.
Qui
ogni giorno può essere quello fatale, ogni persona che hai accanto può essere
il nemico.
La
logica che dobbiamo affrontare ormai stravolge l’idea di guerra che abbiamo
studiato nei libri. La cambia a tal punto che non la riconosciamo più come tale
e questo dal giorno delle torri gemelle, perché da lì è cambiata ogni
strategia.
L’imperativo
è fare più vittime possibile col minor numero di soggetti che s’immolano. E la
perversione sta proprio in questo, pensare che ci sarà un premio nell’aldilà se
moriranno in tanti.
La
convinzione forte di coloro che credono in questo è difficile da comprendere
come da cambiare.
A
noi non resta che adattarsi (l’uomo l’ha sempre fatto nella storia) e gestire
ansia e paura nella convinzione che è giusto dimostrare che la vita deve andare
avanti nonostante tutto.
Ogni
strage porta una foto simbolo. Per Nizza c’è il bambolotto accanto al corpo del
suo padroncino. Un’immagine che ci porta vicino a tutti i bambini morti e a
quelli che in ospedale non sanno neppure se i loro genitori ci sono ancora.
Difficile
buttar giù questo rospo che si è piazzato in gola da ieri sera e non vuole andare né su né giù.
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