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martedì 19 giugno 2018

"All'angolo della strada principale..." Racconto. Capitolo 7.






Capitolo 7.

La struttura esterna della casa, sul lato che non dava sulla strada, era abbastanza particolare.
Dalla portafinestra di cucina si usciva in una zona quadrata, un terrazzino che aveva a sinistra un muretto ed un’apertura con dei gradini che salivano verso un altro terrazzo, appartenente all’abitazione confinante.  Non c’era separazione fra i due terrazzi ed io potevo andare a trovare Arturo, un bambino di dieci anni che non aveva più il padre.
Magrolino e sempre pallido nonostante vivesse in un posto di mare, Arturo aveva l’aria del malato fisso. Era simpatico ed io ci giocavo volentieri ma la sua mamma non voleva che si stancasse e alcune volte mi mandava via nel bel mezzo di un’avventura con i pirati. Ricordo di aver chiesto alla nonna che cosa avesse, perché anch’io soffrivo spesso di tonsilliti e quando mi ritrovavo con la febbre e il dolore alla gola quasi insopportabile pensavo a lui e alle sue sofferenze. Ma la nonna non ha mai voluto raccontarmi la verità e solo molti anni dopo ho saputo che se n’era andato via per una leucemia e che la mamma non aveva saputo darsi pace a tal punto che era sparita, in mare, un giorno di ottobre.
Questo ragazzino però ha lasciato un segno indelebile nella mia mente.
Grazie a lui ho scoperto il sesso.
Certo questa è una parolona da dire, ma non ci sono dubbi sul fatto che fu lui a farmi capire la differenza fra maschi e femmine.
Ero piccola e ingenua a cinque anni. Frequentavo l’asilo ma quella era una struttura gestita da suore che, pur nella promiscuità delle classi fra maschi e femmine, non lasciavano adito a pensieri di nessun genere. In verità a tre anni, a dispetto di tutto, mi ero innamorata di Paolo che frequentava la mia stessa classe e una volta lui, che ricambiava i miei “sentimenti”, mi aveva dato un bacio sulla guancia. Io non avevo lavato quel punto preciso del viso per tanto tempo, illudendomi che sarebbe rimasto stampato un po’ di lui su di me ma poi, col passare del tempo tutto si era affievolito e i teneri sentimenti di bambini, si erano dileguati.
Nella casa al mare mi sentivo più libera che in città. Arturo mi faceva usare i suoi giochi quando ci trovavamo sul suo terrazzo e, alcune volte, mi portava dietro un angolo nascosto perché almeno nessuno ci vedeva. Fu così che in un pomeriggio particolarmente caldo lui si spogliò completamente davanti a me ed io rimasi a bocca aperta, incapace di chiedergli che cosa fosse quella cosa che aveva fra le gambe. Lui sembrava sfidarmi, era più grande di me e quindi era anche più smaliziato.
“Toccami pure, ci puoi giocare se vuoi. Questo è solo un pezzetto del mio corpo, come un braccio o un piede. Quelli li tocchi continuamente quando giochiamo quindi puoi toccare anche lui.”
Inutile dire che il leggero cambiamento che vidi nelle dimensioni e nella durezza non mi impaurirono. Era una parte del suo corpo, mi aveva detto, e quindi che paura potevo avere? Nessuno ci vide quel giorno e neppure le altre volte nelle quali il gioco continuò a diventare fisico, solo a suo beneficio.
Quando da adulta provai di nuovo a toccare il sesso di un uomo, il ricordo di quel ragazzo mi fece compagnia e mi procurò strane sensazioni alla sola idea di quella bravata fatta da piccola.



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