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venerdì 14 dicembre 2018

La tavola del vostro Natale, ricette semplici ma presentate da Re!






Cari amici. Si avvicina il Natale e anche se molte vicissitudini quest'anno mi hanno fatto dimenticare l'aria di festa che sempre invece ha accompagnato questo periodo, voglio farvi partecipi di un piccolo segreto che proprio in quest'occasione sfrutterò.
La cena della Vigilia oppure il pranzo vero e proprio della festa a volte diventano un po' una preoccupazione perché cerchiamo di fare bella figura e ci imbarchiamo in ricette complicate pensando di fare una figura più bella con i nostri ospiti anche se parenti.
Il segreto però ci può far capire che "presentare bene" i nostri piatti, anche i più semplici, si può dimostrare l'arma vincente.
Allora vi chiedo di sbizzarrirvi su come portare in tavola piacevolmente i vostri manicaretti.

Partiamo dagli antipasti.
Possono bastare dei formaggi e degli affettati ma se li presentate così sembrano un'altra cosa!


Oppure vi piace preparare qualche salatino con della pasta sfoglia già pronta? Ok ecco cosa si può fare velocemente.



Primo piatto: risotto gorgonzola e noci.

Come primo piatto si potrà pensare sia ad una classica lasagna con il ragù (in alternativa verdure o gamberi), ma potrebbe fare un figurone anche un risotto gorgonzola e noci. 


È semplicissima la ricetta che prevede una classica cottura per il riso (15/20 minuti) al quale poi aggiungeremo il gorgonzola amalgamato con il burro e per condire le noci tritate. Ecco gli ingredienti:

350 g riso
100 g gorgonzola
50 g formaggio spalmabile
70 g noci
2 cucchiai parmigiano grattugiato
1 pizzico di sale
Non dimenticate di mettere nel piatto di ciascuno alcuni pezzetti di noci che serviranno di guarnizione.


E per secondo : filetto di maiale in crosta.


Ingredienti:
1 rotolo di pasta sfoglia
1 filetto di maiale da 400/500 gr
2 fette di prosciutto cotto
100 gr di emmental grattugiato
sale
pepe

Srotolate la pasta sfoglia e tagliate due strisce dai bordi (conservatele perché ci serviranno più tardi). Collocate le due fette di prosciutto sulla superficie e spolverate con l'emmental grattugiato. 
Scottate rapidamente il filetto in una padella
Adesso arrotolatelo nella pasta sfoglia 
Poi riprendete le strisce di pasta sfoglia e utilizzatele per decorare. Infine, spennellate la superficie con un tuorlo d'uovo sbattuto.  Infornate per 35 minuti a 180°C.

Potete guarnire con verdure lesse tipo bietole e/o spinaci oppure in alternativa peperoni grigliati.


Per finire della frutta oppure un semplice dolcino.


Qui vedete del kiwi tagliato e presentato con chicchi di melagrana. Il rosso e il verde sono colori natalizi e sulla tavola spiccano con allegria.


Se avete una buona ricetta di una torta semplice al cioccolato o di un Pan di Spagna al cacao ecco come la potete presentare ai vostri invitati.
Se il dolce è buono e se lo preparate quasi all’ultimo potrete guarnirlo con del semplice zucchero a velo o con della panna montata…ovviamente in alternativa ben vengano creme golose e colorate.

Buona festa a tavola e divertitevi per rendere la vostra tavola bella e preziosa!

lunedì 10 dicembre 2018

All'angolo della strada principale..."Racconto. Capitolo 17"



Capitolo 17.


Un capitolo dolente della mia vita ha sempre riguardato il rapporto con mia madre.
Un rapporto difficile, sfibrante.
I miei ricordi, di quando ero ancora piccola, sono piuttosto chiari e negativi.
So di averla sempre invidiata e i motivi erano evidenti a me bambina e poi ragazza.
Lei era bella, bionda, fisico provocante anni ’50. Gli uomini si giravano a guardarla quando incedeva per strada. Tacchi sempre alti, gonne al ginocchio, rossetto e smalto, capelli freschi di parrucchiere, belle gambe.
Non c’era nulla da dire sulla sua bellezza e mio padre, anch’esso un bell’uomo, era geloso e le sbavava dietro. Forse ho sofferto del complesso di Elettra ma certo non lo sapevo all’epoca, quello che sentivo però era una gran rabbia e inadeguatezza nei suoi confronti.
Lei era ben cosciente della sua bellezza e del potere che le dava.
Spesso le dicevano che somigliava ad Antonella Lualdi e lei si scherniva, facendo un po’ la preziosa davanti agli altri. 
Aveva buon gusto nel vestire e facendo la sarta sceglieva i modelli che più le si addicevano, indossandoli poi con una leggerezza ed eleganza che non tutti hanno. Poteva portare qualsiasi cosa perché, indosso a lei, acquistava valore.
Personaggio faticoso da contrastare soprattutto quando tu sei nera di capelli e te li fanno portare corti, hai le gambe “come tuo padre” (mi diceva continuamente), porti quei vestiti che odi a morte, ti senti una inetta e tua madre rinforza il concetto ogni volta che può.
Quando ero ancora piccola e frequentavo la scuola elementare, capitava che mi facesse uscire con lei, magari per andare a consegnare abiti e cappotti che aveva cucito per le sue clienti. Molto spesso dovevamo passare per un viale abbastanza largo e trafficato dalle auto. Circa a metà di questa strada, su un alto muro che faceva da delimitazione ad una costruzione di più piani, era stato appeso un enorme cartellone pubblicitario. Tutti coloro che transitavano di lì inevitabilmente lo vedevano e anche io posavo sempre i miei occhi di bambina lì sopra. Si pubblicizzava un detersivo. Le due figure che si contendevano il lenzuolo più pulito avevano le nostre caratteristiche: c’era la signora bionda, bella, sorridente e vincente col suo panno bianchissimo in mano e c’era la mora, più dimessa e meno appariscente che esibiva con tristezza il suo lenzuolo piuttosto grigio. Ho odiato con tutta me stessa quella pubblicità perché sembrava avvalorare la mia idea: la mamma era bella mentre io perdevo sempre e comunque il confronto.
In questa situazione ciò che ha pesato sempre di più, col passare del tempo, è stata la sua incapacità di parlarmi. Non ho mai avuto modo di discutere con lei dei miei sentimenti o delle mie emozioni di giovane donna, né tantomeno è stato facile capire i suoi reali pensieri su di me e sul babbo.
Quelli erano anni nei quali la separazione o addirittura il divorzio in una coppia sposata era meno frequente, ma il dubbio che ho avuto più volte è stato su quale tipo di amore lei nutrisse per  mio padre.
Il babbo era sicuramente perso dietro a lei e ogni scelta della sua vita era condizionata da ciò che mamma pensava e voleva: fosse l’allontanamento da suo fratello e dalla sorella o l’isolamento dalle amicizie, fino alle scelte di vita che mi coinvolgevano. Ritengo che nel profondo del suo cuore il babbo si sia reso conto di vivere in una gabbia che lo escludeva da tutto e tutti ma che non abbia mai saputo o voluto contrastare ciò che accadeva. L’abbandono non lo avrebbe mai accettato e quindi ritengo che abbia trovato un suo modo di sopravvivere, una falsa felicità che gli riempiva le giornate.
Lui era una persona piena di interessi e piacevolmente ciarliero con tutti. Le sue uscite erano sempre colme di incontri, saluti, sorrisi e molte conoscenze sarebbero potute diventare qualcosa di più del semplice saluto per strada se solo mamma avesse aperto la sua casa a persone che abitavano vicine. La solitudine invece ha riempito la nostra casa e di conseguenza anche io non potevo avere molte chance per invitare amici anche semplicemente per studiare.
Come sono andata avanti allora? Facendo forza solo su me stessa. Contando sulle mie capacità e cercando di farle venire fuori nel lavoro e nelle relazioni. Non è facile tirare dritto quando qualcuno rema contro ma sono riuscita ad impostare la mia vita al di fuori di tutto ciò che la mia famiglia di origine mi avevano insegnato. Ho stravolto i miei sentimenti, li ho fatti venire a galla e poi li ho regalati a mio marito e a mio figlio.

Scrivo oggi dopo essere rientrata dalla casa di riposo nella quale ho dovuto mettere la mamma.
Lei ormai quasi novantenne ha condotto fino ad un mese fa una vita di cocciuta solitudine. Non apprezzava mai né le mie visite né quelle della vicina, persona dolce e premurosa. Chiusa in una ostinata caparbia ha voluto gestirsi in tutto sempre a modo suo finché un ictus ha sfasciato il castello che si era creata e le ha fatto perdere la testa e le minime capacità motorie che ancora aveva.
In un attimo ho visto la mamma sotto un diverso punto di vista.
Non era più “la cattiva madre” che avevo quasi odiato e che ancora mi faceva arrabbiare per come mi trattava, improvvisamente non aveva più difese e senza l’aiuto del prossimo non poteva più andare avanti.
E stranamente, quando in ospedale mi hanno parlato della necessità di trovare al più presto una struttura che la accogliesse, mi sono sentita in colpa, come se il trasferimento volesse dire che non m’importava più niente di lei, che disconoscevo il suo ruolo nei miei confronti e che quindi l’abbandonavo.
Ho quasi smesso di dormire la notte, di mangiare il giorno.
Mi sentivo una pressione addosso che non avevo mai provato e che non avrei mai immaginato di concepire, un peso enorme sulla responsabilità della scelta da fare. 
Poi, inevitabilmente, la scelta è stata fatta e ieri, proprio ieri l’ho lasciata al suo nuovo destino. Io non sarò sempre lì, dovrà farsi aiutare da persone estranee e dovrà avere quella pazienza che mai l’ha caratterizzata nel suo passato.
Oggi cerco di ritrovare il sorriso, cerco di pensare che va bene così e soprattutto provo a riprendere in mano la mia vita che da un mese è stata  fagogitata, come in passato da colei che mi ha generato e ignorato per tutti questi anni.





sabato 24 novembre 2018

All'angolo della strada principale..."Racconto. Capitolo 16"




Capitolo 16.

Il ciclo scolastico della scuola primaria terminò e poi velocemente anche quello della media si stemperò dentro la mia vita.

Tre anni senza successi eclatanti ma senza dovermi preoccupare per l’andamento dei miei studi, nelle singole discipline. Non che i miei voti fossero alti ma mi permettevano di andare avanti e molte volte mi davano anche delle soddisfazioni che prima non avevo mai avuto.
Alla fine, nel momento della scelta per la scuola superiore non ebbi alcun dubbio, il mio percorso doveva permettermi di appropriarmi della capacità di insegnare, di stare in modo amorevole con i bambini e di farli divertire oltre che farli crescere imparando. Questo desideravo con tutta me stessa e la scelta ricadde inevitabilmente sull’Istituto Magistrale.
La scuola media frequentata era situata al piano basso dello stesso edificio della scuola superiore. Due portoni abbastanza vicini dividevano gli ingressi: a sinistra quello della scuola media, a destra l’ingresso del Magistrale con qualche gradino e la porta a vetri che dava l’accesso al corridoio e alle aule.
L’edificio è ancora uguale, abbastanza grande, con i corridoi che danno sulla strada mentre le aule sono rivolte all’interno. Aule che contenevano ognuna tantissimi studenti con una prevalenza numerica femminile piuttosto marcata. Quando oggi con la mia auto passo davanti all’ingresso non posso fare a meno di dare un’occhiata agli studenti che sciamano fuori ridendo e urlando ed inevitabilmente sento un po’ di nostalgia per un periodo della mia vita ormai lontano ma che ha lasciato un forte segno.
Quindi, ancor prima di iniziare questo nuovo percorso, per raggiungere la scuola media per quei tre anni ero passata a piedi lungo il viale nel quale abitavo per poi giungere a destinazione con l’attraversamento della ferrovia che avveniva grazie ad un cavalcavia a ferro di cavallo.
Usava all’epoca portare i libri scolastici e i quaderni legati con una specie di cintura e tenuti in braccio. Pesavano tutti quei volumi e la mia schiena, fragile, s’incurvò, procurandomi una scoliosi non grave ma fastidiosa.
Radiografie, esercizi posturali appositi per contrastare la “esse” della mia colonna vertebrale, e tanto tempo speso su un “vogatore” in legno che i miei acquistarono perché potessi anche a casa, giornalmente, far muovere tutte le fasce muscolari dorsali e non solo, al fine di sostenere al meglio il mio torace. Per una ragazzina di dodici - tredici anni che comincia a sognare di far colpo sui compagni questo problema non era la migliore delle situazioni da affrontare ma in realtà non mi pesò mai tanto e quindi, quando fu il momento, entrai nella scuola superiore con un certo entusiasmo.
Le lezioni iniziavano ancora ad ottobre e ci fu subito chi fece colpo sui miei sensi pronti ormai a recepire le prime emozioni e gli sconvolgimenti ormonali del momento. Alto, piuttosto biondo, un nome un po’ improponibile ma divertente, Leopoldo, fu lui il mio primo amore, ben nascosto e protetto. Entravo in classe e lo sguardo cercava il suo viso per essere sicura che anche quel giorno lui ci fosse, solo per me. Non gli ero indifferente lo sapevo, ma eravamo molto timidi entrambi e solo una volta la sua mano sfiorò volutamente la mia mentre eravamo vicini. Io guardavo dritto, non osavo girare gli occhi per paura che tutto finisse. Lui lo stesso. Mi tenne la mano nella sua ed io sentivo il cuore in gola. Poi ci chiamarono e ci allontanammo tornando ognuno nel proprio gruppetto.
Fantasticavo che quell’anno sarebbe iniziata una nuova vita, avrei forse potuto uscire qualche volta, mangiare un gelato o fare due passi mano nella mano con lui. Finì ottobre e il 4 novembre l’alluvione si portò via tutti i miei sogni.