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domenica 4 febbraio 2018

L'ultimo libro di Vichi non mi è piaciuto.




Il commissario Bordelli mi è sempre piaciuto quindi, appena il libro è uscito, ho pensato di prenderlo.
La lettura però si è dilungata tantissimo, un po' lo leggevo e un po' lo lasciavo alternandolo con un altro libro.
La critica che mi sento di esprimere parte dallo stile narrativo usato che si è fatto lentissimo in questa avventura del commissario.
Si parla "troppo" dei moti studenteschi del '68, delle reminiscenze di guerra e in tutto ciò s'intersecano (ma quasi fossero cose secondarie) le morti di alcune persone delle quali però Bordelli sembra rimanere ai margini. 
Mentre leggevo il trascorrere di inutili giornate nelle quali il commissario non pensava ad altro che fare passeggiate, cogliere la primavera in arrivo, guardare le gambe delle giovani studentesse, mi chiedevo dove fosse finita la bellezza delle storie precedenti e come mai l'autore avesse sprecato 600 pagine per non raccontare nulla.
Il riferimento al cantante Don Backy poi è stata la cosa che più mi ha lasciata senza parole. Mi ha sconcertato il modo in cui ne ha parlato e l'inutilità del fatto, lasciandomi ancora più amareggiata.
La storia poi non finisce, sarà l'avvio del prossimo libro? Spero che Vichi torni al vecchio modo di raccontare un commissario simpatico che qui non lo è più; un commissario che incalza gli assassini e che interpreta la legge ma senza bisogno di perdere tempo.

Purtroppo "nel più bel sogno" per me è diventato spesso "nel più bel sonno"....



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